Il regista Tim Burton presenta a Roma il suo Dumbo, remake del classico Disney che racconta di elefanti, diversità, famiglia e show business
“Il progetto di Dumbo l’ho trovato subito affine al mio lavoro per molti motivi. Soprattutto per i temi che affronta, prima di tutto quello della diversità che diventa punto di forza. E anche perchè rappresentava una bella sfida: non si poteva fare il remake di un film ormai datato in tanti aspetti, ma si poteva partire da lì, perché quel film contiene delle tematiche molto belle, cercando di attualizzarle”
Ecco in sintesi, spiegato dallo stesso autore, quello che Tim Burton ha fatto con Dumbo, ultraclassico cartone disneyano, trasformato in un live action che solo di base si ispira all’originale.
Il regista americano incontra la stampa a Roma per raccontare il suo film, ma la conversazione arriva presto a toccare anche altri argomenti.
Partiamo da Dumbo. Se domani andrete al cinema aspettandovi il remake fedele della storia strappacuore dell’elefantino volante, non vedrete esattamente quello che cercate. Di base certo, i temi sono quelli, il protagonista con i suoi enormi occhi blu e le sue ancor più enormi orecchie, pure. Tutt’intorno a lui però, si agitano anche e soprattutto esseri umani che, come lui, cercano di arrabbattarsi nelle loro vite un pò storte.

Niente topolino a consigliare Dumbo, ma due bambini con cui condivide lo stesso dolore, la perdita della mamma, e proprio in questa loro comune disgrazia riescono a condividere forza e voglia di riscatto.
Siamo dentro a uno scalcagnato circo americano, guidato da un gigionissimo Danny De Vito, il padre dei due orfanelli, oltre ad essere vedovo, torna dalla guerra con un braccio in meno e un lavoro che non c’è più. Una famiglia tutta sghemba che diventa la famiglia di quell’altro strano essere con sguardo strappacuore e orecchie sproporzionate. E questo secondo il suo regista, è un pò il cuore del nuovo Dumbo
“Ci sono dei parallelismi molto forti tra i personaggi umani e quello di Dumbo:” spiega Tim Burton “l’elefantino viene separato dalla mamma, anche i bambini hanno perso la mamma, Holt ha perso un braccio, il lavoro e la moglie. Tutti vivono un senso di disorientamento e questa è un’analogia perfetta, che si sposa al tema centrale di Dumbo e che inoltre mi ha permesso di esplorare il tema della famiglia nelle sue declinazioni più diverse, non convenzionali.”
I piccoli che vengono strappati alle madri per decisione di qualcuno, come accade a Dumbo, in America hanno fatto viaggiare la mente a quello che succede al confine meridionale, con i bimbi migranti separati dai genitori. Il regista ha anche esplicitamente confermato che l’attualità poteva aver influenzato il suo racconto. A Roma, interrogato sul punto, lo si trova più prudente:
“Il tema della separazione dei figli dai genitori, in particolare dalla madre, è un tema antico, primordiale. E’ sempre attuale, non è niente di intellettuale è connaturato all’essere umano.”
E a proposito di famiglia, Burton conferma che per Dumbo ha voluto crearne una sua, portando sul set attori con cui il rapporto è ben rodato: da Danny De Vito a Michael Keaton, da Eva Green ad Alan Arkin, tutte maschere già in precedenza usate nei suoi svariati circhi.
“Per me il tema della famiglia in questo film è centrale, e dunque era importante lavorare sul set di Dumbo con qualcuno che mi fosse famigliare,” spiega Burton “e infatti per il cast ho scelto attori con cui c’è già un rapporto ben rodato. Anche nel film il circo è un pò una sorta di famiglia, un gruppo di persone diverse che cercano di raggiungere qualcosa insieme. E io sono stato molto fortunato a lavorare con una specie di mia famiglia.”
Declinando in un altro modo il tema di famiglia, il discorso vola poi alla grande famiglia Disney. Qualcuno molto attento tira fuori delle dichiarazioni d’annata di Tim Burton in cui l’allora giovane regista confessava in sintesi “Mai lavorato peggio di quando lavoravo alla Disney”, parole riferite ai primi anni del suo rapporto con l’impero di zio Walt, quelli di Red e Toby. Il regista la butta a ridere
“Che cos’è una seduta di analisi?” ride, per poi rispondere: “E’ come succede in ogni famiglia: c’è del buono, del meno buono, momenti migliori, momenti meno. E’ così che va la vita. Voi potete dire che con le vostre famiglie il rapporto è sempre meraviglioso? E’ la vita!”
D’altronde, qualcuno poco prima l’aveva già provocato, osservando: “Il suo Dumbo parla anche della storia di un artista indipendente di successo che poi viene risucchiato dall’industria…”
“Mi suona famigliare. Ma c’è il lieto fine: lui riesce a scappare!”
Ecco, lui anticipa qualcosa, noi, doverosamente, non sveliamo il vero finale del film, ma vi anticipiamo che anche questo Dumbo digitale, come il suo predecessore disegnato, vi strapperà il cuore pur non potendo pronunciare neanche una parola. Tutto merito o colpa dei suoi occhi blu, su cui il regista ha apertamente puntato per conquistare cuori ed attenzione.
“Poiché si tratta di un personaggio che non parla, bisognava trovare il modo diverso di fargli esprimere le sue emozioni e la cosa migliore per me era andare alla ricerca di una forma di espressione basica, pura e ho pensato che la strada giusta fosse quella di lavorare sui suoi occhi.”
E poi la domanda più scontata, ma a cui ancora Tim Burton non sa dare risposta.
“Se sono contento di come è venuto il film? Posso solo dire che quando finisci un film come questo ti senti particolarmente vulnerabile quindi con un ottundimento che non ti permette di avere la giusta lucidità per rispondere. Richiedetemelo tra due, tre anni, forse allora ne sarò capace.”
Dal 28 marzo al cinema.