C’era la guerra nel cielo del Mediterraneo quel 27 giugno 1980. Oggi sappiamo che quella della strage di Ustica è una storia di guerra. Una guerra non dichiarata, invisibile, ma che, come tutte le guerre, ha fatto vittime civili.
81 almeno, ovvero passeggeri e personale di bordo del DC9 dell’Itavia che, partito da Bologna sarebbe dovuto atterrare all’aeroporto di Palermo, e che invece si inabissò nelle acque del Mar Tirreno.
Strage di Ustica: 27 giugno 1980
Alle 20:08 del 27 giugno 1980 il Dc9 Itavia decolla con 113 minuti di ritardo dall’aeroporto di Bologna direzione Palermo. L’arrivo a Punta Raisi è previsto per le 21.13. A bordo ci sono 81 persone di cui 13 bambini.
Il viaggio del DC9 è regolare. Secondo l’ultimo contatto radio il velivolo viaggia a 800 km/h mentre sorvola il braccio di mare tra Ponza e Ustica, e sta rispettando la marcia sull’orario previsto.
Solo alle 21,05 ci si accorge che qualcosa non va. Contattato per l’autorizzazione all’atterraggio, il volo non risponde né a Roma, né alla torre di controllo di Palermo, né a due voli Air Malta, né al radar militare di Marsala.
Alle 21.55 intervengono gli elicotteri del soccorso aereo per perlustrare la zona di volo del DC9 che viene dato per disperso.
Le perlustrazioni continuano per tutta la notte, finché non vengono notati detriti, poi una chiazza di carburante, e infine dei cadaveri al largo di Ustica. Verrà recuperata solo la metà delle salme delle persone che si trovavano sull’aereo.
Il velivolo è precipitato e si è inabissato in acque profonde, ma qual è stata la causa?
Strage di Ustica: storia giudiziaria
L’autopsia sui cadaveri confermò che le vittime erano decedute a causa della perdita della pressurizzazione.
La prima ipotesi relativa all’ ‘incidente’, a lungo portata avanti, fu quella del cedimento strutturale del veicolo. Un’ipotesi comoda, che mise sul banco degli imputati il patron di Itavia, la cui società, già in cattive acque, finì per fallire.
Uno strano ritrovamento
A scavare più a fondo fu la stampa, con un lavoro di indagine, come quello di Andrea Purgatori, che portò a far emergere questioni trascurate, poi diventate centrali.
Ci si concentrò, per esempio, su un evento di pochi giorni successivo all’inabissamento del Dc9. Il 18luglio del 1980 infatti, i resti di un MIG libico vennero ritrovati sulla Sila, nel territorio di Castel Silano Crotonese.
Cosa ci faceva un aereo militare libico sui cieli di Calabria? Poteva esserci un legame con la strage di Ustica?
Domande scaturite anche dal fatto che quel Mig, anzi il suo rottame, doveva essere lì da ben prima del 18 luglio . Dunque, la caduta di quell’aereo era cronologicamente molto più vicina all’inabissamento del Dc9.
Ma cosa legava un aereo civile italiano a un aereo militare libico, entrambi in volo e poi precipitati sul Mediterraneo a distanza di pochi giorni o forse addirittura ore l’uno dall’altro?
Gli scenari che si aprivano agli inquirenti erano ben più inquietanti e gravi rispetto all’ ipotesi del danno strutturale.
Il muro di gomma sulla strage di Ustica
I famigliari delle vittime della strage di Ustica sottolineano da anni quanto le prime fasi dell’inchiesta siano state portate avanti tra insabbiamenti e reticenze, e nella totale indifferenza della politica.
Basti pensare che il relitto del DC9 Itavia inabissato venne recuperato solo 7 anni dopo il disastro.
Era il ‘muro di gomma’ che tanto bene ha raccontato nel suo film Marco Risi.
Nel corso delle lunghe indagini ci furono anche suicidi e morti definite ‘sospette’ di diversi militari legati alla vicenda del DC9 Itavia.
L’opinione pubblica chiedeva la verità con sempre più forza tanto che, anche gli inquirenti riconobbero che l’inchiesta era stata falsata da depistaggi e inquinamento di prove.
L’ipotesi dell’esplosione dell’aereo e dunque di una bomba portata a bordo da un terrorista, venne smentita dall’analisi del relitto del Dc9. Molti oblò del velivolo infatti erano integri, e questo fece escludere l’ipotesi di una bomba a bordo.
no, doveva essere successo altro, ma cosa?
Strage di Ustica: una storia di guerra
Quello che sappiamo oggi è quello che scrive il giudice Rosario Priore nella sua istruttoria finale nel 1999.
“L’incidente al DC-9 è occorso a seguito di azione militare di intercettamento. Il DC-9 è stato abbattuto, è stata spezzata la vita a 81 cittadini innocenti con un’azione, che è stata propriamente atto di guerra, guerra di fatto e non dichiarata, operazione di polizia internazionale coperta contro il nostro Paese, di cui sono stati violati i confini e i diritti”.
La notte della strage di Ustica era in corso una battaglia navale nei cieli del basso Tirreno.
Da ricordare che, nel 1980, la tensione sul Mediterraneo era alle stelle, e l’Italia era in mezzo ai due fuochi. I francesi e gli Stati Uniti vedevano come fumo negli occhi il colonnello Gheddafi in Libia e il suo appoggio e finanziamento ai terroristi internazionali. L’Italia era schiacciata tra le posizioni della NATO e il legame economico rappresentato dal petrolio e dalle commesse libiche.
Dirà Francesco Cossiga, che era presidente del Consiglio nel 1980, molti anni dopo, nel 2007, all’epoca in cui faceva il‘picconatore’ dalle esternazioni infuocate, che il Dc9 venne abbattuto da un aereo di un paese NATO, non americano, che pensava di abbattere un aereo su cui stava viaggiando il colonnello Gheddafi. Per poi, pochi giorni dopo, per i pochi che non avessero capito, chiarire che sarebbe stato un missile francese “a risonanza non a impatto” ad abbattere il DC9 di Itavia, e che l’informazione era stata fornita all’epoca a lui e all’allora sottosegretario Giuliano Amato dai nostri servizi segreti.
Queste parole riapriranno l’inchiesta sulla strage di Ustica. Perché è esattamente questo il tassello mancante, ovvero accertare da dove venne il missile che colpì un aereo con a bordo 81 civili italiani in un azione di guerra. Azione forse addirittura partita da un paese alleato dell’Italia.
E’ questo che aspettano ancora i famigliari delle vittime. E lo aspetta l’intera opinione pubblica.
La strage di Ustica, trattandosi di strage non va in prescrizione. E quello che si aspetta da 41 anni è che l’Italia si imponga con i suoi alleati e pretenda la verità. Il minimo per uno stato che non ha saputo garantire la sicurezza minima di 81 civili.
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