Strage di Bologna, bambino sopravvissuto Yuri Zini

Yuri Zini, a 7 anni, aveva una grande passione: i treni. Sognava di lavorarci sopra da grande, seguendo le orme del papà impiegato in ferrovia. Ogni sabato mattina costringeva il padre nel suo giorno libero a portarlo in treno a Bologna, da casa sua nell’entroterra. 15 minuti di viaggio che era per lui il più grande divertimento della settimana, giro in centro e altro viaggio a tornare.

7 anni, Bologna, la stazione, una bomba, 85 morti e 200 feriti e un senso di colpa che toglie il fiato per 40 anni

Il 2 agosto 1980 era con il papà davanti alla biglietteria dentro la stazione di Bologna, in attesa di prendere un treno con partenza alle 10.40, quando alle 10.25  è esplosa la bomba a pochi metri da lì. Lui ha fatto un volo di 15 metri, sbattuto verso un treno fermo al binario 1. Il padre lo ha ripreso in mezzo al caos, coperto di sangue, ferito ma salvo. Poi la corsa in ospedale, le cure e una vita che non è stata più la stessa. Si è portato dentro il peso dei ricordi nel silenzio per quasi 40 anni Yuri, che è cresciuto nella solitudine di una paura che non gli dava tregua, affrontando molte rinunce e molta sofferenza. Da quel giorno maledetto non  è più salito su un treno per molti anni, ha abbandonato la sua passione e il suo sogno, ha vissuto terrorizzato dai rumori inaspettati,  tormentato dai sensi di colpa del sopravvissuto, e non ha parlato con nessuno per anni.

Poi un giorno gli è scattato qualcosa dentro. Ha deciso che doveva trovare un modo per uscire dalla gabbia di dolore in cui si era rinchiuso. Da anni l’Associazione dei familiari delle vittime della strage di Bologna lo invitava a partecipare ai suoi incontri, ma lui rispondeva sempre no. Una mattina invece, si è concesso di dire a sé stesso di sì e si è presentato, non atteso, in una scuola dove si stava parlando della bomba. “Quando mi hanno visto arrivare non ci credevano” ci ha raccontato. Erano passati 39 anni dal 2 agosto 1980. 39 anni di buio, silenzio, sofferenza. Ora Yuri Zini si sente più leggero, sollevato da un senso di colpa ingiusto che lo ha tormentato per tanto tempo. Anche perchè contribuisce attivamente a tramandare la memoria di quello che è successo “per loro”, ovvero per le vittime a cui non ha smesso mai di pensare. Si è tatuato l’orologio fermo alle 10.25 sulla pelle. Ha anche scritto un libro, “Quel che resta della Bomba”, pagine in cui racconta cosa gli è rimasto dopo quell’esperienza, la bomba che è esplosa dentro di lui negli anni successivi.

Strage di Bologna, 2 agosto 1980: la bomba alla stazione, gli esecutori materiali, il mistero dei mandanti

Sabato 2 agosto 1980 a seguito della detonazione di 23 kg di esplosivo morirono 85 persone, altre 200 rimasero ferite. La giustizia ha condannato come esecutori materiali della strage i membri dei Nar (Nuclei Armati Rivoluzionari): Valerio Fioravanti, Francesca Mambro, Luigi Ciavardini, Gilberto Cavallini e (pochi mesi fa) Paolo Bellini. Sui mandanti non si è arrivati a nessuna verità giudiziaria, ma l’ombra della P2 si allunga su questa terribile strage. In questa intervista esclusiva Yuri Zini, bambino sopravvissuto alla strage di Bologna, racconta a Tua City Mag la sua dolorosa storia, che continua con coraggio a condividere, per non dimenticare e non far dimenticare come andarono i fatti.

Intervista a Yuri Zini,  bambino sopravvissuto alla Strage di Bologna

Cosa ricorda di quel giorno, il 2 agosto 1980, che è passato alla storia come il giorno della Strage di Bologna?

 “Ero appassionato di treni perché mio padre lavorava in ferrovia e mi aveva attaccato quella passione. Noi abitavamo in periferia, e tutti i sabati mattina chiedevo sempre a mio papà di portarmi in treno. Quindi facevamo questo viaggio di dieci minuti, un quarto d’ora per arrivare alla stazione di Bologna e fare una passeggiata al centro, ma per me il grande divertimento era proprio quel breve tragitto in treno”.

Anche il 2 agosto 1980 era un sabato mattina

“Sì e ovviamente avevo chiesto a mio papà di andare a fare la nostra solita passeggiata. Siamo partiti presto perché faceva molto caldo, siamo arrivati a Bologna, abbiamo fatto il nostro giro e poi siamo tornati alla stazione verso le 10.15 perché avevamo il treno al primo binario ovest alle 10.40. Proprio arrivati davanti alla stazione di Bologna mio padre ha riconosciuto un suo paesano che faceva lì il vigile urbano. Si è fermato per salutarlo e scambiare qualche convenevole, e questo saluto scambiato velocemente con questo suo amico incontrato per strada, è probabilmente il motivo per cui sono ancora vivo”.

Dov’era quando è esplosa la bomba?

“ Eravamo con  mio padre all’interno della stazione, dove c’è la biglietteria, e ci stavamo immettendo sul primo binario, poi avremmo dovuto girare a sinistra per raggiungere il nostro treno che ci avrebbe riportati a casa. La bomba era nella sala d’aspetto, di fianco alla biglietteria, e quando è esplosa noi eravamo lì. Io sono volato contro il treno del primo binario, un salto di quindici metri. Però sono qui a raccontarlo. Quei venti secondi che mio padre ha speso per salutare il suo amico hanno evitato che ci trovassimo proprio nel punto esatto in cui era l’ordigno”.

Cosa è successo dopo?

“Dal momento dell’esplosione per me è calato il buio. Non ho più ricordi, ho ricostruito quello che è successo grazie al racconto di mio padre che mi ha ritrovato in mezzo al caos. Io sono sempre stato conscio, vigile. Ero pieno di tagli su braccia e gambe, completamente coperto di sangue, ma non ho mai perso conoscenza. Mio padre mi ha ripreso a quindici metri di distanza da dove ero prima dell’esplosione e mi ha portato al Traumatologico, un piccolo ospedale di primo soccorso. Lavorando alla stazione lui sapeva come muoversi. Quando arrivammo all’ospedale mi medicarono e poi fui mandato in un ospedale più grande per altri accertamenti”.

Quando ha capito che era successa una cosa grave?

“Mi sono reso conto subito che era successa una cosa grave. E anche che c’era di mezzo una bomba. Quando ero ancora in braccio a mio padre in attesa delle medicazioni in ospedale, si era sparsa già la voce che alla stazione di Bologna era scoppiata una caldaia e ricordo che lui disse subito: “Ma quale caldaia? Non c’è mai stata nessuna caldaia lì”. Poi mio padre mi raccontò che dopo l’esplosione nell’aria si sentiva fortissimo odore di polvere da sparo. Lui aveva capito immediatamente che era un attentato, che era esplosa una bomba”.

Cosa altro ricorda di quelle ore?

“Ho un ricordo del giorno dopo, che credo che sia reale, anche se nella mia testa in quelle ore c’è tanto buio e confusione. Io ricordo che il giorno dopo dovevamo andare al mare, perché i miei avevano deciso che era meglio così, provare a ritrovare subito la normalità dopo quel grande spavento che per fortuna per noi si era risolto senza lutti. Era mattina presto, passammo davanti alla ferrovia e ricordo l’impressione che mi fecero le gru e i vigili del fuoco che scavavamo nelle macerie. Mio padre accompagnò me e mia madre al mare e lui poi tornò indietro, a Bologna, a dare una mano, come  praticamente tutta la città”.

Cosa è successo dopo quel giorno? Come ha influenzato la sua vita il fatto di essere stato testimone di tale orrore?

“Dentro di me sono rimaste per molto tempo tante paure. Per tantissimi anni io non ho mai più preso un treno. Era la mia passione, il mio sogno, per tantissimo tempo non sono più riuscito a prendere quel mezzo che tanto mi aveva affascinato. Da ragazzino i miei amici si spostavano con il treno: andavano al centro, al mare, ma io dicevo sempre di no e non riuscivo nemmeno a raccontare perché dicevo di no. Dopo molti anni ho deciso che non era giusto rinunciare a tante possibilità di vita e, alla fine, con grande fatica, sono riuscito a salire di nuovo su un treno. Quel passo, per me difficilissimo, l’ho fatto da solo.”

Una sofferenza vissuta in silenzio o si confidava con qualche amico, coetaneo?

“Io non ho parlato con nessuno di tutto questo, per 39 anni. Era troppo difficile. Provavo una grande sofferenza quando tornavo con il pensiero a quella mattina e soprattutto provavo un grande senso di colpa. Mi chiedevo sempre: “Ma perché io sono vivo e loro sono morti?”  Pensavo a persone che un attimo prima erano a un metro a fianco a me e che non si sono salvate. E’ una cosa che mi è rimasta dentro per tanto tempo: sentirmi in colpa perché loro erano morti e io no. Che poi, che colpa avevo io? Ero solo un bambino di 7 anni capitato in mezzo al più grande attentato terroristico della storia italiana. Ma razionalizzare era impossibile”.

Come è successo che dopo 39 anni ha cominciato a parlarne?

“Mi chiedevano spesso dall’Associazione dei familiari delle Vittime della Strage di Bologna di partecipare agli incontri che organizzano periodicamente nelle scuole per parlare dell’attentato. Io ho detto per anni no. Avevo paura, del dolore che avrei dovuto affrontare. Una mattina però qualcosa mi ha spinto a superare le mie paure. Sapevo di un incontro organizzato perché c’era anche mio padre e, semplicemente, mi sono presentato lì. Quando mi hanno visto non credevano ai loro occhi. Era evidentemente arrivato il momento di farlo. Da quel giorno mi sono aperto, dopo quasi quarant’anni di chiusura totale, fino a scrivere anche un libro, “Quel che resta della bomba” in cui racconto come quell’evento ha segnato la mia vita. Scrivere quelle pagine è stata comunque una cosa molto difficile per me. Però ora sono contento perché mi sono un po’ liberato di questo peso che aveva dentro e che ho portato per molto tempo in silenzio e solitudine”.

Ora sta facendo qualcosa di concreto per le vittime, dando la tua testimonianza di quel giorno, dovresti sentirsi meno colpevole, è così?

“Io lo faccio per me stesso, perché mi sono reso conto che mi ha aiutato molto, al contrario di quello che temevo. E sì, lo faccio anche per loro, le vittime, per portare avanti la memoria di quello che è successo. E lo faccio anche per i giovani che hanno diritto di sapere”.

Cosa sanno loro?

“Io, se continuo ad andare a raccontare quello che è successo nelle scuole, è perché  non mi sarei mai aspettato l’incredibile interesse che suscitano le nostre testimonianze in ragazzi che all’epoca non erano nemmeno nati. Loro sono molto attenti, vogliono sapere cosa è successo nei dettagli nel più grande attentato terroristico della storia. Poi  parlare con loro è importante: saranno quelli che porteranno avanti la memoria, perché non si dimentichi mai, nemmeno in futuro”.

C’è qualcosa che in questi anni ha sentito, relativamente alla Strage di Bologna, che l’ha particolarmente indignata?

“Tutti gli anni è sempre la stessa storia. Intorno al 2 agosto con l’attenzione mediatica che sale, esce qualcuno che ritira fuori la storia dei palestinesi o altre storie. E questa è una cosa che fa male, una mancanza di rispetto assoluta, e indigna me e tutte i famigliari delle vittime. Sono stati i fascisti.”

Giustizia è stata fatta?

“Ad aprile (con la condanna di Paolo Bellini, quinto esecutore materiale dell’attentato ndr), abbiamo chiuso quasi totalmente il cerchio. E’ chiaro che per tutti noi rimane l’interrogativo: ‘chi sono stati mandanti’? Secondo me non lo sapremo mai. Se si fosse interrogato qualche personaggio politico potente all’epoca, Cossiga e Andreotti per esempio, forse ci si sarebbe arrivati. Di certo, rispetto a molte altre stragi e misteri, in questo caso si è andati avanti verso la verità, anche grazie all’attività dell’Associazione delle Vittime della Strage di Bologna e di tutta la città”.

Cosa direbbe oggi a chi ha messo la bomba?

“Ho visto in tv che Francesca Mambro va in giro a presentare il suo libro. Tra i tanti sogni che ho, uno è arrivare a una di queste presentazioni e  regalarle il mio di libro, dicendole: “questo è un racconto scritto da un bambino di 7 anni, che il sabato mattina era sempre felice, a cui hai tolto tutti i sogni e la serenità. Prova a leggerlo, poi ne parliamo. Ma sappi che non ti perdonerò mai””.

Quel che resta della bomba

Il libro di Yuri Zini, Quel che resta della bomba, è edito da Scripta Manent . Parte dei ricavi andrà all’Associazione dei familiari delle vittime della strage alla stazione di Bologna del 2 Agosto 1980.

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