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RIPRENDIAMOCI LA LIBERTÀ: IN PIAZZA CONTRO LA VIOLENZA

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Susanna Camusso dal palco della manifestazione "Riprendiamoci la libertà". Foto: Noemi Eusicchio/TuaCityMag

Si è svolta il 30 settembre, in Piazza della Madonna di Loreto a Roma, la manifestazione“Riprendiamoci la libertà”, organizzata dalla CGIL e dal suo Segretario Generale Susanna Camusso, a difesa dei diritti delle donne. O per meglio dire, contro la violenza esercitata ogni giorno ed ogni ora su centinaia di migliaia di donne sparse in tutto il Paese.

Molti gli interventi dal palco, tra cui anche quello, importantissimo, di un’ispettrice di Polizia, Daniela Scarpetta. Quel che riporta sono nient’altro che numeri. Ma numeri atroci, dolorosi, e sanguinanti; che ritraggono un Paese certamente ancora non degno di essere chiamato ‘civile’.

Numeri, potremmo dire, della vergogna: “Solo nel 2016, 116 donne uccise da mariti, fidanzati compagni o altri familiari. Una ogni tre giorni!” – racconta l’ispettrice – “Circa 12.000 atti persecutori, 13.000 maltrattamenti in famiglia, 3.700 violenze sessuali…”. E questi non sono altro che dati estrapolati dalle denunce effettuate. Denunce spesso mancanti. E che creano una distanza abissale tra quel che è la realtà, e quel che viene invece solamente percepito. Una purtroppo minima parte.

L’ intervento della dottoressa Scarpetta continua ponendo l’accento su una questione fondamentale: “Più della metà dei casi avviene al Nord. È un dato contrastante, se pensate che il fenomeno criminologico è più diffuso al Sud, legato a condizioni socio-economiche più critiche. Si tratta di eventi che frequentemente non vengono denunciati. Di fatti sommersi che a volte, rimanendo allo scuro, improvvisamente esplodono in tragedia. Quasi certamente il dato statistico, così significativo al Nord, può essere attribuito al fatto che lì si ha meno resistenza a denunciare”.

Un’analisi netta. Lucida. Che restituisce l’immagine di un Paese ancora vittima di se stesso. Come ricorda anche Michela Ponzani, giornalista e storica, conduttrice di questa importante giornata: “’Femminicidio’ è un termine entrato addirittura nel vocabolario Treccani negli ultimi anni, e dimostra che in Italia esiste ancora il ‘delitto d’onore’. Un delitto che pensavamo essere stato abolito, che è stato abolito, almeno sulla carta, solo nel 1981, ma che i fatti ci dimostrano quanto esista ancora. La donna viene distrutta nella sua identità. Considerata una cosa inutile. Sfregiata,eliminata, nel momento in cui non se ne sente più il possesso”.

Donna dunque come proprietà. Non come Identità. Un essere considerato inferiore, e che in quanto tale, nella percezione malata di molti uomini, può ed è, usato a proprio piacimento. Un oggetto. Da manipolare, sfruttare, e finanche uccidere. Un immaginario culturale in cui l’uomo si erge a Dio, e la donna è la sua creta, pronta ad essere distrutta.

Ma non è così. Non deve e non può essere così. In un’epoca in cui si parla – finalmente – di reale parità di diritti e di genere tra uomo e donna, tutto questo non è più ammissibile.

E allora, una domanda sorge spontanea: “Dove sono gli uomini?”. Perché in piazza, ieri, non ve ne erano molti. Eppure, la questione non riguarda noi, ma principalmente loro. E ovviamente, le istituzioni. Che in quanto tali, per proteggere quella stessa società che rappresentano, dovrebbero iniziare ad educare. Educare al rispetto e alla dignità. Come ci ricorda, sempre dal palco, anche la voce di un’insegnate: Rossana Assogna.

Ma a chiudere questa importante giornata, c’è l’intervento di colei che, in questa istanza, si è fatta portavoce di tutte le donne: Susanna Camusso, Segretaria Generale della CGIL, che sottolinea quanto la libertà delle donne sia effettivamente il metro di misura di una democrazia. “Perché ,afferma dal palco, “chi pensa di ignorare questo tema, in realtà sta ignorando l’assetto democratico del Paese; sta ignorando il senso e il tema della Libertà” e, tornando sul tema ‘educazione’, afferma: “Può la scuola essere un luogo in cui non si insegna il rispetto dell’altro? Una scuola che non insegna il rispetto per l’altro viene meno a buona parte della sua funzione di democrazia e di costruzione dei cittadini”.

Prosegue poi su tematiche ancor più importanti: “Ma davvero possiamo sempre pensare che c’è qualcun altro, e solo qualcun altro che deve fare quella parte? Oppure non dobbiamo invece ricominciare da una cosa antica: quella per cui la sensibilità e la convivenza collettiva dipendono dai comportamenti di ognuno. Da ciascuno di noi, e non solo da ciò che ci insegnano o da ciò che ci raccontano. E allora parliamo anche del Silenzio. Il silenzio in qualche caso è rumorosissimo. Il silenzio che ha accompagnato le cronache di questi due mesi faceva un rumore insopportabile. Perché quelle cronache erano cronache di colpe delle donne. E di guerre tra uomini che si svolgevano sui corpi delle donne. Quelle per cui esisteva un’improvvisa classifica, che può farla solo chi non subisce violenza. Chi non conosce cosa vuol dire la violenza. Quella per cui abbiamo sentito dire che, se uno stupro è commesso da qualcuno è più grave che se commesso, da qualcun altro. Il modo migliore per sottolineare che il corpo di quella donna e la mente di quella donna non ci sono, non c’entrano, perche gli uomini sono impegnati nella loro classifica, funzionale alla campagna elettorale, o alla battaglia del momento”.

Che altro si può fare? Moltissimo. Per esempio, firmare l’appello contro la violenza sulle donne qui: http://www.progressi.org/avetetoltoilsensoalleparole

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