Home Mamma and the city RAPPORTO TRA GENITORI E FIGLI ATLETI: ISTRUZIONI PER L’USO

RAPPORTO TRA GENITORI E FIGLI ATLETI: ISTRUZIONI PER L’USO

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“Fare i genitori è un lavoro impegnativo e sono la figura più importante nell’interazione con i figli”.

Queste le parole di Kateryna Chesnevska, allenatore federale e psicologa clinica, che ci parla di quanto sia importante per un genitore gestire correttamente  il rapporto con il  figlio impegnato in attività atletica.

“I genitori sono sicuramente la figura primaria per un bambino, sia dal punto di vista educativo, sia da un punto di vista affettivo, ma il bambino non entra in relazione soltanto con loro, ma anche con altri soggetti tra cui: amici, compagnia di scuola, allenatori, insegnanti”.

Nel suo percorso di crescita il bambino sviluppa passioni diverse e tra queste può esserci anche lo sport, come spiega la Chesnevska:

“Nei bambini piccoli l’autostima non è ancora sviluppata e crescono attraverso un gioco e per loro, in quella fascia d’età, lo sport è proprio questo”.

Ciascun genitore vuole il meglio per suo figlio ma talvolta, per la paura di commettere errori, tende a perdere il senso della realtà e frena i suoi sogni. “Il compito del genitore- sottolinea la dottoressa- deve invece essere quello di incoraggiarlo e motivarlo a credere nei propri sogni”.

Non c’è un decalogo di regole o comportamenti da seguire per diventare genitori perfetti, ma

“è importante distinguere tra supportare e invadere lo spazio del proprio figlio, non dandogli la possibilità di crescere nel modo giusto”.

Ogni genitore si distingue per il modo che ha di rapportarsi con il figlio atleta, ma questi suoi comportamenti possono essere ricondotti a tre tipologie:

“I genitori esagerati, quelli equilibrati e quelli che adottano comportamenti negativi. Alla prima categoria possiamo ricondurre comportamenti come l’avere aspettative troppo elevate ed irrealistiche, l’esercitare un’eccessiva pressione sul figlio o fargli credere che lo sport sia un campo di battaglia. Alla seconda categoria appartengono invece sentimenti positivi come la fiducia, il supporto, il monitoraggio attento ma discreto dei figli, ecc… Una fase delicata in cui il genitore deve essere in grado di ascoltare il figlio e adottare un approccio empatico. All’ultima categoria sono riconducibili le cosiddette false credenze, ad esempio considerare lo sport soltanto come passatempo e dovere perché lo fanno gli altri, oppure che il figlio non sbagli mai”.

È a casa, attraverso gli insegnamenti e il supporto che il genitore dà, che il bambino viene educato. Come sottolinea la Chesnovska:

“Il genitore è un educatore a casa, ma quando porta il bambino ad interagire con il mondo e le altre persone, l’educatore diventa un’altra persona”.

Il desiderio più comune tra le mamme e i papà è che il bambino rimanga sempre piccolo e non cresca mai. Questo accade soprattutto quando un bambino fa attività sportiva e, a tal proposito, possiamo fare riferimento a quattro fasce d’età differenti nel bambino atleta:

“in quella che va dai 4 agli 8 anni, il bambino deve fare attività ludica ossia imparare divertendosi. Fare sport non deve diventare uno stress, perché deve ancora conoscere il suo corpo e capire come relazionarsi con gli altri. Verso i 9-11 anni, invece, il bambino inizia ad interagire nel gruppo, a capire quali sono le regole, chi dovrebbe diventare il leader e accettarlo”.

È quindi molto importante affiancare il bambino in questo primo periodo di vita, perché quello più delicato arriva verso i 12-15 anni

“Quella è un’età definita sensibile perché talvolta si stenta a riconoscere il cambiamento fisico e caratteriale del figlio dovuto proprio all’attività fisica, molto importante nello sviluppo psicofisico dell’atleta”.

Superata questa fase, il ragazzo inizia ad assumere maggiore consapevolezza di se stesso e del proprio corpo:

“nella fascia d’età compresa tra i 15 e i 18 anni è attraverso lo sport che un ragazzo, o una ragazza, acquisisce la formazione del proprio io e della propria identità che diventa forte e stabile. È in questo momento che si può parlare di atleti-campioni, non prima, perché è in questa fase che sono pronti”.

Praticare sport e arti marziali, produce miglioramenti a livello caratteriale sui giovani, ha sottolineato la dottoressa, che ha poi aggiunto:

“I ragazzi che lo praticano hanno un livello di ansia e di aggressività bassisimi rispetto alla media, quindi si evince un livello di autostima molto alto che porta all’autorealizzazione, all’autocontrollo e alla leadership. Affinché questa trasformazione si realizzi con successo, nella vita del bambino sono importanti due figure: quella del genitore, che non crea il figlio-atleta ma lo indirizza, e dell’insegnante, che insegna al ragazzo come diventarlo”.

 

 

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