Sarà presentato il 23 maggio in concorso al Festival di Cannes il nuovo film di Marco Bellocchio, Rapito, ispirato alla vera storia di Edgardo Mortara, un bambino ebreo portato via alla sua famiglia per ordine di Pio IX, papa e re dello Stato Pontificio.
Uno stato nei cui confini ricadeva anche Bologna, città in cui Edgardo Mortara, sesto di otto figli, era nato nel 1851, dal padre Salomone Momolo Mortara e dalla madre Marianna Padovani. La famiglia abitava in via Lame e proprio lì, la sera del 23 giugno 1858 bussarono i gendarmi pontifici con in mano un ordine dell’inquisitore, Pier Gaetano Filetti, che pretendeva la consegna del bambino.
Ma cosa era successo? Perché quel ragazzino di sei anni doveva essere ‘rapito’? La storia vera di Edgardo Mortara era solo all’inizio, le domande erano molte, ma questo episodio diventò una delle gocce che fece traboccare in Italia e fuori il vaso dell’indignazione e dell’inaccettabilità della commistione tra potere spirituale e potere temporale incarnato nello Stato della Chiesa.

Edgardo Mortara, la storia del bambino rapito dal Papa Re
Ma andiamo per ordine. Perché gli alti vertici ecclesiastici, compreso Pio IX si sentirono legittimati nello strappare un bambino alla sua famiglia?
La questione risaliva a qualche anno prima, quando Edgardo Mortara aveva poco più di un anno. Si ammalò e veniva ritenuto in pericolo di vita. Una domestica a servizio della famiglia, Anna Morisi, quattordicenne cattolica, nel timore che quel bambino finisse nel limbo decise di battezzarlo lei stessa. Questo in base a una precisa previsione del diritto canonico che riteneva il pericolo di vita, l’unica possibilità per battezzare un appartenente a un’altra religione. Il bambino per fortuna si riprese, e l’accaduto venne dimenticato, finché la domestica non lo svelò in modo del tutto fortuito. La storia arrivò all’orecchio dei vertici ecclesiastici che non persero tempo per applicare alla lettera il sessantesimo canone risalente Concilio di Toledo (633), e che stabiliva che gli ebrei battezzati diventavano di fatto cattolici a tutti gli effetti e quindi Edgardo Mortara venne rapito dai soldati del Papa per garantirgli un’educazione cattolica.
Secondo alcune fonti, a questo punto ci fu uno sbrigativo tentativo di trovare un accordo con la famiglia: il ragazzino sarebbe rimasto in un collegio cattolico a Bologna fino ai 17 anni, ma pare che l’accordo non fu trovato, ed Edgardo Mortara, 6 anni, venne portato a Roma, al Collegio dei Catecumeni, una struttura dedicata agli ebrei convertiti e finanziata con le tasse pagate dalle sinagoghe allo Stato Pontificio. Nel frattempo, però, la famiglia fece di tutto per riprendersi il bambino, che i genitori riuscirono a vedere solo quattro mesi dopo il rapimento.

“Non possumus”, il caso Mortara e la caduta dello Stato Pontificio
L’indignazione contro questo atto del Papa Re crebbe velocemente, e il caso Mortara divenne un fatto che scuoteva l’opinione pubblica internazionale e contribuiva a demolire l’immagine dello Stato Pontificio che, non dimentichiamolo, era in quel momento sotto attacco anche politico militare, visto che di lì a poco si sarebbe fatto il Regno d’Italia.
Nei 12 anni che intercorsero tra il rapimento di Edgardo Mortara e la breccia di Porta Pia, moltissime voci si alzarono per chiedere la liberazione del bambino rapito, dal Regno di Sardegna ovviamente, ma anche da Inghilterra, Stati Uniti e Francia. Addirittura Napoleone III, che per lungo tempo con le sue guarnigioni garantì la sicurezza dello stato di Pio IX si espresse contro questo incomprensibile muro alzato non solo dai vertici della Chiesa, ma dallo stesso Papa Re che rispondeva ‘non possumus’ a chi chiedeva di far tornare il ragazzo alla sua famiglia.
E lui, Edgardo Mortara, la storia della sua vita come andò dopo la notte in cui venne rapito dalla gendarmeria? Quando incontrò per la prima volta nel 1870, dopo la caduta dello Stato Pontificio la madre Marianna e il fratello Riccardo a Parigi, lui era ormai don Pio Edgardo Mortara. Ebbe una lunga vita, fu missionario apostolico, canonico lateranense e professore di teologia. Nelle sue memorie, a fronte della battaglia di opinione scatenata sulla sua vicenda, si definisce “Gratissimo alla Provvidenza che mi aveva ricondotto alla vera famiglia di Cristo.” E ancora: “Vivevo felicemente in San Pietro in Vincoli e nella mia umile persona agiva il diritto della Chiesa a dispetto di Napoleone III, di Cavour e degli altri grandi della terra”. E definisce anche “eroico il ‘non possumus’ di un grande papa”.