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PROSTITUZIONE E TRATTA: STORIE DALL’ INFERNO

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“Siamo convinti che la prostituzione, anziché essere il mestiere più antico al mondo, sia la violenza contro le donne più antica del mondo.
Partendo da questo, riteniamo sia importante parlarne facendo riferimento a due questioni: genere e parità. Se vogliamo parlare di parità uomo-donna bisogna prima guardare bene a questo tipo di rapporto. Come possiamo parlare di parità di genere se metà della popolazione è in vendita all’altra metà? Non si può”.

Se lo chiede Esohe Aghatise di Iroko, una delle associazioni, insieme a Differenza Donna e Resistenza Femminista, protagoniste del convegno tenutosi a Roma su “L’industria del sesso e la tratta di esseri umani”, in cui associazioni e donne sopravvissute alla tratta, hanno parlato di prostituzione come “esperienza violenta più antica del mondo”.

Sono sempre di più, e sempre più giovani, le donne, e non solo, coinvolte nella tratta sessuale, sfruttate da mercenari senza scrupoli che le usano come un prodotto per fare soldi.

Per affrontare il problema è però importante partire da un elemento fondamentale, sostiene Esohe Aghatise, “ossia prendere atto del fatto che ad avere il potere non è la donna che si prostituisce, bensì l’altra parte, quella che detiene il potere economico e con esso si arroga il diritto di comprare il corpo della donna.Se la situazione economico-sociale di una donna migliora, difficilmente deciderà di prostituirsi. La questione più importante da affrontare è cercare di spiegare che dietro questo fenomeno non c’è una scelta. A testimonianza di ciò c’è il modello nordico, rivelatosi vincente nei paesi che hanno deciso di applicarlo (Svezia, Norvegia, Islanda e oggi anche la Francia ) e che sta contribuendo a definire le linee guida per combattere il fenomeno. Si tratta di un modello di eguaglianza fondato su tre pilastri: chi si prostituisce non deve essere punito, perché la maggior parte delle donne che svolgono questa attività lo fanno per sopravvivenza, lo Stato deve offrire risorse adeguate a tutte quelle donne che decidono di lasciare quel mondo e di rifarsi una vita, ed infine spostare il discorso da chi si prostituisce a chi detiene il potere economico e compra il corpo della donna, perché sono loro a dover essere puniti”.

Il numero di donne vittime di prostituzione e tratta è sempre più elevato e spesso di parla di questi come di due fenomeni distinti tra loro quando in realtà la tratta esiste perché c’è prostituzione.

Tra le donne che ce l’hanno fatta ad uscire dall’ inferno della prostituzione e hanno voluto dare la loro testimonianza durante il convegno, ci sono Rachel Moran e Blessy Okoedion, che hanno deciso di raccontare al mondo le loro storie per infondere un messaggio di speranza e coraggio.

Rachel è una donna di Dublino, oggi giornalista, che ha deciso di raccontare la sua storia nel libro Stupro a pagamento e nel blog da lei L’esperienza di una prostituta.

“Sono finita in strada come senza tetto, a soli 15 anni. Provenivo da una famiglia difficile e per questo decisi di scappare di casa. Vivevo per strada ed è stato proprio lì che ho incontrato un uomo di 20 anni che mi ha proposto quello che di lì a sette anni sarebbe stato il mio lavoro: la prostituzione. Sono stata per strada, ma ho lavorato anche per agenzie di escort. Non ero l’unica a fare questo lavoro, perché come me tante altre ragazze provenivano da famiglie disfunzionali e si erano ritrovate a fare le prostitute perché scappate dalle case famiglia o abusate durante la loro infanzia. Io appartenevo alla prima categoria”.

Co-fondatrice dellassociazione SPACE INTERNATIONAL, Rachel oggi viaggia in tutto il mondo per raccontare la sua storia, dolorosa, ma a lieto fine:

“Ci penso spesso quando giro il mondo. A 22 anni ho lasciato la strada, ho concluso i miei studi e mi sono laureata in giornalismo. Penso a quanto io sia stata fortunata a riuscire ad uscire dalla prostituzione e a ricostruirmi una vita. Molte altre non ce l’hanno fatta, perché hanno iniziato a prostituirsi da ragazzine e sono diventate donne con il tempo. Io ci sono riuscita e voglio portare il mio messaggio di speranza per far sì che le cose cambino e perché si ponga fine ad un sistema che mette al primo posto i bisogni degli uomini che ci fanno violenza. Bisogna partire da qui per far sì che le cose cambino”.

Anche Blessy Okoedion, nigeriana, è stata vittima della prostituzione, ma come Rachel è riuscita a riprendere in mano le redini della sua vita.

Il suo incubo inizia quando, subito dopo la laurea in informatica, le viene proposto da una sua conoscente di trasferirsi in Italia per lavorare in un negozio di computer. A fargli la proposta è una persona di cui si fida, una giovane donna che conosce anche la sua famiglia. Quella che sembrava essere una nuova opportunità si rivela ben presto un inganno, come lei stessa racconta:

“Sono arrivata in Italia nel 2013. Avevo ventisei anni e una laurea in informatica quando sono finita nella mani dei trafficanti e sono diventata la loro schiava. Non pensavo che avrei potuto fare quella fine. Ricordo quando mi hanno tolto tutto e mi sono sentita un oggetto. Ero disperata e impaurita. Mi fidavo di quella donna e spesso mi sono chiesta: ‘perché sono finita così?’ Non era la vita che avevo pensato per me, né che i miei genitori avevano desiderato. Sapevo della prostituzione, ne avevo sentito parlare e avevo letto tante notizie, ma pensavo che la cosa non mi avrebbe mai riguardata. Mi avevano tolto tutto e ridotto ad un prodotto da usare e gettare quando non serve più. Mi sentivo già morta”.

Sono stati momenti di grande sofferenza e in cui si è sentita smarrita e sola. Vedere che come lei tante altre ragazze venivano portate sulla strada e usate come oggetti la faceva stare male. Un giorno, però, ha deciso di porre fine a quel terribile incubo. Ha iniziato a chiedere a quelle ragazze da quanto tempo fossero lì e chi le avesse portate sulla strada. Dopo le loro testimonianze ha deciso di dire basta e scappare:

“Pensavo: ‘cosa faccio ancora qui? Dov’è la via d’uscita?’ Mi hanno detto ci si abitua alla vita in schiavitù, che non possiamo fare niente e siamo soltanto un prodotto in vendita. Molte avevano paura delle minacce che avrebbero potuto subire e di quelle a cui avrebbero potuto sottoporre le famiglie. Molto temevano i riti voodoo. Le vedevo sorridere al cliente che si avvicinava con l’auto e piangere in silenzio quando ritornavano, ho deciso di dire basta e sono andata a fare la denuncia. La polizia mi ha portato a Casa Rut, un centro di accoglienza gestita dalle suore di Caserta, dove ho incontrato altre ragazze con la mia stessa storia e che sono riuscite a liberarsi”.

Oggi Blessy Okoedion è un’attivista e porta in giro per l’Italia la sua storia, cercando di aiutare altre donne che come lei sono state vittime della tratta sessuale e a chi dice che la prostituzione è una scelta risponde:

Non si può parlare di scelta nel vivere quella vita drammatica. Non si sceglie di essere trattate come un prodotto. È importante ascoltare storie come la mia ma non basta. Per cambiare le cose quello che è importante è lottare insieme per liberare queste donne, perché essere schiave non è mai una scelta”.

 

 

 

1 COMMENT

  1. Non può sussistere la violenza se esiste consensualità in merito e perfino il guadagno. Difatti, posso dire d’aver conosciuto diverse donne, che sono tornate in via definitiva al mestiere di meretrice, come madre e figlia, prostitute consapevoli, le quali sfasciavano di continuo le rispettive autovetture di grossa cilindrata. Altro che stupro a pagamento!

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