Si sta svolgendo a Cassino in questi giorni il processo per il delitto di Arce. A venti anni dal ritrovamento in località Anitrella del corpo senza vita di Serena Mollicone, 18 anni, tramortita con un colpo in testa e poi soffocata con una busta di plastica e ritrovata con mani e piedi legati con fil di ferro in mezzo al bosco, sono imputati per concorso in omicidio quattro persone.
Si tratta dell’ ex comandante della locale stazione dei carabinieri Franco Mottola, suo figlio Marco,la moglie Anna Maria, il maresciallo Vincenzo Quatrale. Un altro carabiniere di Arce, l’appuntato Francesco Suprano è invece accusato di favoreggiamento.
L’ assassinio della ragazza sarebbe maturato sullo sfondo di un giro di droga. Serena avrebbe avuto intenzione di denunciare Marco Mottola per spaccio, lui l’avrebbe colpita alla testa e poi avrebbe chiesto aiuto al padre.
Serena Mollicone, venti anni senza verità, tra errori e depistaggi
Quello che si sta celebrando in Ciociaria è l’ultimo atto di una storia di dolore e giustizia negata che si trascina da venti anni.
Il più grande combattente per la verità di questa storia, come spesso accade, è stato il genitore che non si è dato mai pace della morta violenta della giovane figlia.
Guglielmo, il padre di Serena Mollicone, addirittura portato via dal funerale della figlia perché indagato per il suo omicidio.
E’ stato lui a combattere strenuamente, fino alla fine dei suoi giorni, per spingere chi di dovere a cercare la verità. Quando gli attuali imputati furono iscritti nel registro degli indagati, nel 2011, 10 anni dopo la morte di Serena, e 10 anni prima del processo che si sta attualmente celebrando, lo andammo a trovare nella sua cartoleria di Arce. Lui si disse fiducioso che la sua lunga battaglia, alla fine, avrebbe portato alla verità su quella notte tragica.
“Sono contento, non me l’ aspettavo”. Ci disse. “E’ segno che gli inquirenti finalmente stanno lavorando scrupolosamente e seriamente. Sono fiducioso, sento che siamo sulla strada giusta. Sono i fatti che me lo confermano. Il carabiniere che disse di aver visto Serena in caserma poco prima di morire, si é suicidato dopo aver reso la sua testimonianza (Santino Tuzi ndr). Il male ad Arce allora era proprio in caserma e lì va cercata la verità, sono anni che lo dico.”
Purtroppo papà Guglielmo non farà in tempo a vedere come andrà a finire questa storia, perché nel frattempo se ne è andato. Ma la sua battaglia per Serena sta vivendo ora il suo atto cruciale.
E’ dal 3 giugno del 2001 che si indaga sulla misteriosa morte di Serena Mollicone. Venti anni di indagini a vuoto e colpi di scena.
Un carabiniere, Santino Tuzi, che testimonia di aver visto Serena in caserma la notte in cui la studentessa scompare, e subito dopo la deposizione si suicida.
E ancora, un innocente finito in prigione per un anno e mezzo, accusato di un crimine orribile e mai commesso. Un’ altra delle vittime di questa storia di sangue, corruzione, insabbiamenti che, sebbene giudicato estraneo ai fatti da anni,fatica ancora a riprendere in mano la sua vita e a scrollarsi di dosso quel marchio d’ infamia.
Le indagini, a un certo punto si sono concentrate anche sull’ex fidanzato di Serena e sulla mamma di lui. Alla fine, il cerchio si è ristretto e tutti gli indizi hanno portato a concentrarsi sulla caserma dei carabinieri di Arce.
Delitto di Arce, il processo
Oggi a processo sul banco degli imputati del Tribunale di Cassino c’è una famiglia che è anche la famiglia di un comandante dei carabinieri, un membro delle istituzioni.
L’ipotesi è che Serena Mollicone, quel 1 giugno 2001 fosse andata in caserma e avesse avuto un accesa discussione con il figlio del comandante, e avesse l’intenzione di denunciarlo per spaccio di droga. Lì sarebbe stata aggredita, poi infilata in un sacco, legata mani e piedi ed abbandonata in un bosco. Il suo corpo sarà ritrovato il 3 giugno.
Da allora sono passati 20 anni e Serena Mollicone aspetta ancora di avere giustizia.