Nella giornata del 25 novembre dedicata alla lotta alla violenza sulle donne, la necessità di raggiungere la parità di genere assume un’importanza fondamentale. La parità di genere è il terreno su cui costruire una cultura nuova che porti anche all’eliminazione di violenze e abusi.
Il tema della parità di genere è centrale per lo sviluppo sostenibile e attraversa tutti i 17 Obiettivi dell’Agenda 2030, che dedica comunque un Obiettivo specifico a questa tematica. Anche alla luce dell’impatto della pandemia, la parità di genere costituisce una fondamentale leva per la crescita economica e sociale del Paese. L’ASviS propone che la parità di genere venga considerato un obiettivo trasversale del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) e degli altri interventi legislativi.
La violenza sulle donne non diminuisce
La violenza è la manifestazione più estrema della mancata parità di genere. La lotta contro questo fenomeno inaccettabile richiede un rafforzamento delle misure di prevenzione e contrasto. L’emergenza sanitaria ha determinato un aumento degli episodi di violenza sulle donne. Le restrizioni per arginare il Covid- 19 hanno aggravato situazioni di conflitto con partner violenti. Senza dimenticare i figli e le figlie che, restando a casa per la chiusura delle scuole, sono stati vittime passive delle violenze. Le liti che generano una reazione violenta hanno spesso anche un motivo economico. Inoltre, anche quando la donna ha una propria indipendenza economica, spesso l’autore del reato rivendica il diritto di gestire tutte le risorse familiari.
In base agli ultimi dati dell’Istat, il 31,5% delle donne in età 16-70 anni ha subito nel corso della vita una violenza fisica di qualche tipo. Nel periodo di lockdown sono stati registrati 15.280 contatti al numero verde 1522, dato più che raddoppiato rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente (+119,6%). Tra questi, la crescita delle richieste di aiuto tramite chat è quintuplicata, passando da 417 a 2.666 (https://www.istat.it/it/archivio/246557).
I Centri antiviolenza sono il fulcro della rete territoriale della presa in carico delle vittime di violenza (unitamente ai loro figli minorenni). Al 31 dicembre 2018 sono 302 i Centri operativi, pari a uno per 20mila abitanti. Le donne che, grazie all’azione dei Centri, hanno avviato un percorso di uscita dalla violenza sono 30.056, delle quali il 63,5% lo ha iniziato nel 2018.
Donne, violenza e giustizia
Nel 2017 sono state 2.018 le sentenze definitive per violenza sessuale. La durata media del percorso giudiziario, tra la data del reato e la sentenza definitiva di condanna, è pari a 31 mesi quando la sentenza diventa definitiva in primo grado, a 67 mesi in secondo grado. Denunciare la violenza e intentare un’azione legale implica un costo emotivo molto alto oltre a quello finanziario.
Negli ultimi anni sono state emanate diverse norme di diritto penale ispirate da un aumento della risposta repressiva ai reati di genere e di implementazione degli strumenti di tutela processuale della vittima[4]. Ciononostante, il Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa ha bocciato nuovamente l’Italia per ostacolare l’accesso alla giustizia alle donne vittime di violenza. Il Comitato, pur avendo riconosciuto gli sforzi fatti dall’Italia con la legge 69/2019 (c.d. Codice Rosso), ha valutato negativamente i tempi di risposta dei Tribunali alle denunce, il numero di procedimenti penali avviati, il numero eccessivo di assoluzioni e di archiviazioni. Per questo, l’Italia resterà sotto vigilanza rafforzata e dovrà fornire, entro il 31 marzo del 2021, le informazioni sulle misure adottate per garantire un’efficace valutazione del rischio che corrono le donne che denunciano violenza e dimostrare la concreta applicazione delle leggi.
L’Italia è stata sollecitata anche a fare di più per la prevenzione della violenza e per garantire la presenza dei Centri antiviolenza e le risorse a loro disposizione. Oltre all’aspetto repressivo nei confronti dell’autore del reato, è necessario garantire e migliorare la protezione della donna. Evitando processi di ri-vittimizzazione nei percorsi di uscita da episodi di violenza, consentendo alle donne di conquistare l’autonomia economica soprattutto attraverso l’inclusione lavorativa. È necessario facilitare una maggiore attenzione, a livello penale, a casi di violenza economica nelle relazioni di prossimità. Fino ad ora raramente incluse nei processi per violenza familiare. Per aiutare la donna che ricorre alla giustizia e darle il supporto necessario per superare le difficoltà serve migliorare l’integrazione dei servizi territoriali.
Donne, violenza e lavoro
Una donna indipendente ha meno probabilità di subire violenza economica e fisica. La violenza sulle donne origina anche dalle condizioni che impediscono l’autonomia economica e quindi, in primo luogo, dalle difficoltà all’ingresso nel mondo del lavoro. Il tasso di occupazione femminile è di circa il 50%, di 18 punti più basso di quello maschile e il Covid-19 ha peggiorato la situazione. Rimangono inoltre forti disparità sul luogo di lavoro, come la differenza salariale tra uomini e donne che nel settore privato è di circa il 17,9%. Secondo il World economic forum ci vorranno ben 222 anni per superare il ‘pay gap’ di genere a livello mondiale.
Il potenziamento dei servizi di cura universali e di qualità (all’infanzia, agli anziani e ai disabili) costituisce una delle soluzioni più rilevanti per far crescere l’occupazione femminile. Infatti, una causa delle disparità risiede nel ruolo delle donne in famiglia. Poiché le donne si occupano anche del lavoro di cura e dei carichi familiari, esse sono spesso costrette ad accettare lavori vicino casa, flessibili e spesso mal pagati. La mancanza di un lavoro stabile e di qualità, unite alle disparità salariali, rendono più frequente tra le donne la condizione di povertà con conseguenze rilevanti anche nella terza età, dove esse presentano una maggiore precarietà economica.
Violenza, educazione ed innovazione
L’educazione ha un ruolo fondamentale per la prevenzione della violenza sulle donne. In primo luogo attraverso la lotta agli stereotipi di genere (circa il 24% della popolazione ritiene che il modo di vestire provochi la violenza sessuale). Importante è anche garantire lo sviluppo di competenze finanziarie e digitali necessarie per mantenere e possibilmente migliorare gli attuali livelli occupazionali. Secondo un’indagine Iacofi (Banca d’Italia), il divario delle competenze finanziarie tra uomini e donne continua ad aumentare; inoltre, oltre il 30% delle donne sottostima le proprie competenze in materia.
Gli elementi su cui concentrare l’attenzione, soprattutto alla luce della pandemia, sono le competenze digitali e l’educazione finanziaria. L’autodeterminazione passa in primis dall’indipendenza economica, che molte donne non hanno o hanno in maniera limitata. L’educazione finanziaria ha un ruolo strategico per la presa di coscienza. Di recente si è intensificato il dibattito sulla tematica e sono aumentate le occasioni di informazione e formazione. Per quanto riguarda le competenze digitali, le opportunità formative coprono la fascia di età fino ai 29 anni, ma escludono le donne adulte e anziane. Ovvero coloro che dovrebbero adeguare le proprie conoscenze e competenze.
Violenza e salute
La violenza contro le donne è un problema di salute di enormi proporzioni globali. Le conseguenze sullo stato di salute della donna assumono infatti diversi livelli di gravità incluso il Post Traumatic Stress Disorder (PTSD). Le donne abusate hanno quasi il doppio delle probabilità di soffrire di depressione e di sviluppare problemi con l’alcol. Le vittime di abusi da parte sia del proprio partner sia di sconosciuti hanno l’1,5% di probabilità in più di contrarre infezioni sessuali gravi rispetto a donne che non hanno subito violenze, oltre che il doppio della probabilità di avere un aborto.
In Italia, il Servizio Sanitario Nazionale garantisce alle donne, alle coppie e alle famiglie, strutture finalizzate alla prevenzione, all’individuazione precoce e all’assistenza nei casi di violenza di genere e sessuale. Ma è necessario rafforzare le competenze degli operatori sociosanitari che entrano in contatto con le vittime, mediante specifici programmi di formazione. Le donne con disabilità sono più esposte delle altre alla violenza di genere, ma questo aspetto è scarsamente considerato: nel 2014 l’Istat ha specificato che ha subìto violenze fisiche o sessuali il 36% di chi è in cattive condizioni di salute e il 36,6% di chi ha disabilità gravi. Il rischio per queste donne di subire stupri o tentati stupri è pari al 10%, contro il 4,7% delle donne prive di questi problemi. Le donne con disabilità intellettiva hanno più probabilità di subire violenze o abusi sessuali.