“Una attività di depistaggio ostinata, che a tratti definirei ossessiva. I fatti che oggi siamo chiamati a valutare non sono singole condotte isolate ma un’opera complessa di depistaggi durati anni.”
La parola depistaggio risuona nell’aula del Tribunale, in cui si sta celebrando il processo sullo sviamento delle indagini relative alla morte di Stefano Cucchi. Una morte che ha aspettato giustizia per molti anni, proprio per le tante difficoltà a risalire alla verità dei fatti che accaddero nell’ottobre del 2009 e che si conclusero con la morte del giovane geometra di Tor Pignattara.
A pronunciare un accusa precisa è ovviamente il pm Giovanni Musarò che parla di un’azione continuativa, durata anni.
“Depistaggio ossessivo fin dai primissimi momenti immediatamente successivi al decesso di Stefano Cucchi. Puntavano alla richiesta di archiviazione che non poteva essere fatta dal momento in cui tutto il Paese chiedeva verità dopo la pubblicazione delle foto terribili del cadavere di Stefano Cucchi. Sarebbe comunque stata inaccettabile una simile archiviazione dal momento che sarebbe stata evidentemente colpa dei Carabinieri senza poter individuarne i responsabili. Allora occorreva svincolare quella morte dal pestaggio e coinvolgere gli agenti della Polizia Penitenziaria.”
Una requisitoria durissima, in cui però si sottolinea anche la non volontà di fare di tutta un’erba un fascio, sottolineando che non è sotto accusa l’Arma dei Carabinieri come istituzione. Tanto più che lo stesso ministero della difesa e anche l’Arma si sono costituiti parte civile.
Ad essere sotto accusa per i depistaggi delle indagini sulla morte atroce di Stefano Cucchi sono in otto il generale Alessandro Casarsa all’epoca dei fatti comandante delGruppo Roma, e altri 7 carabinieri.
Le richieste di condanna nei loro confronti verranno formalizzate il prossimo 23 dicembre nella prossima udienza del processo.