Micaela Ramazzotti si racconta in occasione della Mostra del Cinema di Venezia: il nuovo film, gli aneddoti di una brillante carriera e cosa l’ha spinta sulla strada del cinema
“Voglia di indipendenza mescolata al desiderio di raccontare le imperfezioni” racconta così il suo lavoro Micaela Ramazzotti alla Mostra del cinema di Venezia.
L’attrice romana, torna al cinema, diretta da Francesca Archibugi in Vivere, presentato fuori concorso al Lido. Nel film della regista romana, Micaela Ramazzotti veste i panni di Susi, una ex ballerina che insegna danza a signore sovrappeso, e fa di tutto per mantenere unita la sua famiglia, dividendosi fra i ruoli di lavoratrice, quello di moglie e quello di mamma. Una trama che dà lo spunto a Micaela per svelare un piccolo segreto:
“Susi è uno dei personaggi più amati dai miei figli che mi criticano tantissimo. Di solito imparano i trailer a memoria e mi dicono ‘mamma ma li interpretavi una mamma cattiva, li eri vestita male’. Sono i miei primi spettatori. Anna ha una scatola piena di giochi e piena di maschere. Ci giochiamo spesso ed è uno spunto per me per spiegargli che ‘mamma è mamma, quello che interpreto al cinema è un personaggio’. Ora, ho un obiettivo grande: devo comprare delle maschere a Venezia. Troverò il top. Questa è la città delle maschere. Non a caso c’è uno dei più grandi Festival di arte cinematografica.”
Un gioco di personaggi che in tanti anni di lavoro ha portato Micaela Ramazzotti a vincere diversi premi, dai Nastri d’argento al David di Donatello. Il segreto del suo successo, a quanto pare, è molto semplice e a svelarlo è la stessa attrice:
“Sul set mi sento senza freni, totalmente incosciente. Faccio cose che nella vita di tutti i giorni, non penserei mai di fare. Mi affido ai registi e ricopro un ruolo. Indosso una maschera. Non avendo un background di tipo accademico, sono cresciuta pensando di non essere all’altezza del mio lavoro e quindi ho sempre dato tutta me stessa. A fare questo lavoro mi ha sempre spinto la voglia di indipendenza mescolata al desiderio di raccontare le imperfezioni umane. Mi butto con tutta me stessa in ogni progetto, in ogni personaggio che sono chiamata a incarnare poi, quando finisco un film, mi prendo grandi momenti di pausa e torno ad essere Micaela.”
I figli, il marito Paolo Virzì, la famiglia e gli amici: è solo una piccola cerchiadi persone che può dire di conoscere la vera Micaela, leonessa cresciuta alla periferia di Roma, all’Axa, che sognava l’indipendenza.
Ed è stata questa la spinta che l’ha portata sul trampolino di lancio della sua nuova vita. Quando era un’adolescente, Micaela come moltissime ragazze, leggeva i fotoromanzi, soprattutto a casa della nonna. Sfogliando quelle pagine, rimase affascinata da quel mondo e pensò di volerne fare parte. Mandò così una foto ad uno dei suoi giornali preferti e, poco dopo, venne chiamata a fare un provino, proprio a pochi passi da casa:
“Che imbarazzo!” ricorda l’attrice “È stato tremendo. Il primo fotoromanzo me lo hanno fatto fare all’Axa, dove sono nata. Mentre ci fotografavano c’erano tutti i miei amici, tutta la mia comitiva che, da quel momento in poi ha iniziato a prendermi in giro. ‘Ecco, questa fa i fotoromanzi, mica fa i film’. Mi prendevano in giro perché avevo i dentoni. Le cattiverie erano feroci. Io i fotoromanzi li facevo perché volevo la mia indipendenza. Era capitata quella dei fotoromanzi, ho preso quella.”
A diciotto anni, Micaela Ramazzotti, mentre si mantiene facendo la cameriera, inizia con i primi ruoli al cinema, fino alla grande occasione: il ruolo di protagonista per il film degli allora, ancora sconosciuti Manetti Bros. in quel cult che è Zora la Vampira.
“In quel periodo frequentavo il Liceo Artistico vicino alla ex Fiera di Roma, per cui i miei amici dell’Axa li vedevo poco. Mi ero già fatta un’altra compagnia, uscivo dal mio quartiere e mi aprivo di più al mondo. C’è stato in un attimo un cambiamento radicale. Un nuovo inizio. Quando i Manetti mi hanno scelto, si lavorava con Verdone, che a Roma è una garanzia. I ragazzi dell’Axa, allora non mi prendevano più in giro, dicevano ‘C’è Verdone, è una cosa seria’ e quando tornavo al quartiere avevano nei miei confronti un atteggiamento diverso.”
La maschera che da allora indosserà tante volta facendo il suo mestiere, aveva permesso a Micaela di essere riconosciuta. E sul rapporto tra lei e le sue, ormai numerose, maschere confida: