Cosa spinse una donna di buona famiglia e di grande cultura ad avventurarsi nell’allora impervio territorio laziale inesplorato? La sete di conoscenza, la passione per la scoperta e una mente eclettica che amava la cultura in tutte le sue forme.
Marianna Candidi Dionigi, nacque a Roma nel 1757 da un padre medico e madre molto ricca di origine siciliana.
Fu la prima archeologa italiana, scrittrice, paesaggista e colta animatrice dei salotti, insomma, una donna dai molti talenti.
Dietro ai molti talenti espressi c’è sempre una grande curiosità, la stessa che indusse la nostra eroina a intraprendere un’impresa spericolata come quella di avventurarsi da Roma, verso Ferentino, Anagni, Alatri, Atina e Arpino.
Oggi questo viaggio sarebbe una piacevole “gitarella fuori porta”. Invece, all’epoca fu una vera e propria spedizione storico-archeologica nel cuore più impervio del Lazio meridionale.
Le città fondate dal Dio Saturno
L’obiettivo della spedizione era quello di studiare e illustrare le cinque città accumunate dalla presenza di mura megalitiche poligonali. La tradizione immaginava che questi centrifossero stati fondati nella mitica Età dell’Oro dal Dio Saturno.
In pieno neoclassicismo la novità francese dell’archeologia era molto in voga tra gli uomini di cultura. Era decisamente raro, invece, trovare una donna affascinata e interessata alla modalità costruttiva delle mure ciclopiche.
Marianna Candidi Dionigi non era una sprovveduta, infatti organizzò tutto nel minimo dettaglio facendosi aiutare per le rilevazioni da un architetto mantovano.
L’esploratrice durante il viaggio produsse incisioni delle città e scritti che raccolse in un libro pubblicato a Roma nel 1809 Viaggi in alcune città del Lazio che diconsi fondate dal Re Saturno.

Uno dei – pochi – vantaggi di appartenere al gentil sesso di estrazione socio-culturale elevata nel XVIII secolo era quello di essere educata alla sensibilità del bello e all’attenzione ai particolari.
Marianna mise a frutto anche queste sue doti manifestandole nell’accuratezza delle sue riproduzioni paesaggistiche. Infatti, case, porte, mura ed elementi naturalistici sono riportate nella sua opera con dovizia di particolari.
In un mondo dell’arte prevalentemente al maschile la Candidi Dionigi veniva spesso criticata e, sovente, veniva anche messa in dubbio l’attribuzione delle sue opere.
Ma la sua determinazione e la sua passione per l’arte non si arrestarono neanche quando, dopo il matrimonio con il nobile ferrarese Domenico Dionigi, divenne madre di ben sette figli: il suo salotto a Palazzo Verospi in Via del Corso divenne un punto d’incontro fra intellettuali italiani e stranieri.
Il salotto letterario di Marianna Candidi Dionigi
Negli anni della Repubblica Romana e della presenza francese a Roma il salotto di Marianna era frequentato da alcuni tra i maggiori esponenti neoclassici della letteratura e dell’arte come il poeta Vincenzo Monti, l’artista Canova, il poeta inglese Percy Bysshe Shelley.
Tuttavia, le sue riunioni non erano amate da tutti: tra i suoi maggiori detrattori ci fu Giacomo Leopardi, occasionale frequentatore delle sue “Conversazioni”.
Il poeta in una lettera alla sorella (1823) utilizza termini forti e offensivi per descrivere la Candidi Dionigi: “La Dionigi, di cui mi domandate, è una schifosissima, sciocchissima, presuntuosissima vecchia che mi ha veduto uno o due volte in casa sua e non mi rivedrà più finchè vive”
Affermazioni inequivocabili che sottointeneano un astio del quale non ci è dato sapere l’origine.
Riconoscimenti
Nel 1808 Marianna Candidi Dionigi fu ammessa all’Accademia di San Luca come “Egregia pittrice paesista a tempera”. Un riconoscimento raro in quei tempi per i paesaggisti che erano considerati artisti di serie B, figuriamoci per una donna!
Inoltre, fu accolta come membro in molte accademie italiane e straniere: Filarmonica, Arcadia, Accademia di Bologna, di Perugia, di Charlestown (South Carolina) e molte altre.
Una sua veduta della Campagna romana è esposta alla Galleria d’Arte Moderna.
Marianna Candidi Dionigi fu la prima donna alla quale il Comune di Roma nel 1885, nell’Italia unita, dedicò una via.
Negli ultimi anni della sua vita questa donna forte e determinata che perseguiva le sue passioni incurante delle critiche e dei canoni del tempo, continuò l’attività di paesaggista e archeologa a Civita Lavinia (oggi Lanuvio) dove morì nel 1896.
Su di lei vennero scritte diverse biografie ed è ancora ricordata come la “prima fautrice delle moderne conquiste della donna” per la sua fervente attività artistico-culturale inusuale a quei tempi per le donne.