Inseguono famelici il piacere e segnano la crudeltà fulminea degli abbandoni. Sono “Le intenzioni del cuore”, poesie scritte da Domenicantonio Minasi ed edite da Giulio Perrone. Sogni nudi e afrodisiaci, incendi carichi di verità e seduzione. Un linguaggio acceso e furioso di immagini capovolte che scavalca i limiti e i segreti delle cose captando gli sguardi dell’anima. Una sorprendente e contemporanea danza della carne ( un lavoro durato due anni) infusa di romanticismo ed estasi, resa preziosa dalle illustrazioni-visioni di uno dei più importanti artisti internazionali come Ugo Nespolo.
Una raccolta poetica, uscita da poco, in cui Minasi si confronta con gli enigmi degli elementi nei luoghi invisibili, dove non si posano gli sguardi. E le sue liriche infiammano il desiderio, offrendo a chi ci si sofferma un antidoto-incantesimo al mistero dell’amore.
Nato a Palmi, graziosa cittadina rivierasca della Calabria, alla cui atmosfera si ispirano alcune poesie racchiuse in questo suo nuovo libro, Domenicantonio Minasi che vive a Roma dove lavora come autore televisivo, nel 2018 ha pubblicato con L’Erudita la raccolta di liriche “ Lo zenzero” e sta preparando con questo nuovo lavoro anche un recital, per dare al pubblico la versione teatrale delle sue emozioni.
Intervista a Domenicantonio Minasi
I sentimenti oggi più che mai hanno bisogno di essere esternati e il cuore ne è il più diretto portavoce. Ma quante intenzioni? Quanti propositi e desideri ha il protagonista dei nostri stati d’animo?
“Scrivendo le poesie che ho poi raccolto nel mio secondo libro, illustrato da un poeta del colore come Ugo Nespolo, ho imparato che la verità si può scoprire soltanto rinunciando alla pretesa di sapere cosa vogliamo. I desideri, le intenzioni, infatti, devono fare i conti con la volontà. Orbitano attorno alla luna dell’incertezza… Cosa succede se manchiamo le intenzioni? Se le stesse non si tramutano in azioni? Pensiamo di aver fallito, ci diciamo che abbiamo sbagliato.
M in pratica cosa sono le intenzioni del cuore?
“ Sono semplicemente quei desideri che ci fanno tenere vivi perché ci aiutano a sognare. E non ha importanza se le cose si avverano, se si passa dal pensare al fare. Al diavolo chi parla di esercizi sulle intenzioni sentimentali: un prato fiorisce anche se non lo innaffiamo. Le intenzioni sono la nostra macchina del tempo, ci consentono di passare dal presente al futuro. Sono praticamente il nostro personale biglietto per viaggiare nel tempo del cuore”.
Il libro è diviso in tre parti.
“Le intenzioni che raccontano la passione ardente e la seduzione; la distanza dove il tema è l’assenza che crea il desiderio “eros”, e infine la terra: perdersi per ritrovarsi nelle radici. Il libro si chiude poi con un tango in versi, in onore del più umano fra gli dei, Diego Armando Maradona”.
Domenicantonio Minasi lei scrive quando è malinconico o quando sereno?
“Quando il pensiero laterale scorge dei passaggi nella realtà che mi circonda; sono porte che mi aprono luoghi invisibili, dove non si posano gli sguardi e dove si nasconde il mistero dell’amore. Così le immagini diventano parole. Questi momenti non sono riconducibili a uno stato di serenità o malinconia, piuttosto all’inaspettato che mi sorprende. Se devo pensare invece a un tempo dedicato alla lettura scelgo la notte coi suoi suoni impercettibili ovattati dal buio. Forse sono un po’ come Jorge, il gatto di Sotirios Pastakas, il più grande poeta greco vivente che ringrazio per aver scritto l’introduzione al mio libro.
Quali sono i suoi poeti preferiti? Quelli che l’hanno ispirata?
“Al liceo detestavo i poeti da antologia e leggevo quelli della beat generation. Mettevo sempre all’ordine del giorno nelle assemblee di classe un punto dedicato a questioni ispirate da Ginsberg o Jim Morrison, che poi non interessavano a nessuno. Pensavo come un hippie della West Coast anni ’60, nella Calabria degli anni ’80. Una volta tradussi i testi dei Pink Floyd e mi ispirai alle loro visioni per scrivere una raccolta di poesie psichedeliche. Le lessi solo a mia madre e ricordo ancora il suo sguardo assolutorio. In quel periodo non mi separavo mai da un volume dei Meridiani su Ungaretti. E su quelle pagine di carta leggera iniziai a scrivere a matita alcune poesie per una ragazza. Provai a dare a quei versi un valore editoriale battendoli a macchina con la Olivetti di mio padre, ma ero troppo timido e non osavo neanche pensare di farli leggere a quella ragazza così bella. Decisi allora di secretarli nelle copertine dei 33 giri. Molti anni dopo ci incontrammo, lei era incredula e dopo averle lette si mise a piangere per il tempo sprecato”.
Quando scrisse l’ultima poesia giovanile?
“A 24 anni, periodo in cui mi accompagnavano poeti come Neruda, Pavese e Salinas. La mia fidanzata dell’epoca la inviò a un concorso che vinsi. Da allora smisi di scrivere poesie. E ripresi a 44 anni, dopo aver letto di tutto, continuando a comprare libri di poesie, pure se quel che conservo dentro la mia memoria è poco. Vivo di passioni infuocate anche nelle letture che poi abbandono lasciando i libri sparsi negli angoli più disparati di casa”.