Bagaglio pesante, talvolta, quello dell’attore. Ma mai quanto quello di un’attrice. E non in quanto tale, ma in quanto donna. Un mestiere già difficile di per sé. Eh già, perché di “mestiere” vero e proprio si tratta. Non tutti gli uomini ci riuscirebbero. Anzi, probabilmente, nessuno. “Meglio così, e chi vuole esserlo”, direbbe qualcuno, forse, tutti, sogghignando. Beh, buon per voi, meno per noi.
Cosa vuol dire esattamente essere donna? Vuol dire farsi spazio sgomitando tra la folla. Una folla composta da uomini, più o meno adulti, più o meno intelligenti. E se alcuni ti lasciano passare, rispettandoti e guardandoti con pari dignità e valore, molti altri (la maggior parte ancora? chi può dirlo) ti faranno ostruzionismo, ti denigreranno, ti passeranno sopra con il loro bel carro armato carico di presunta virilità.
E così, può capitare che qualcuna ne rimanga schiacciata. A terra. Inerme e priva di ogni forza, né voglia. D’altronde chi avrebbe anche solo l’energia, mentale o fisica, per rialzarsi dopo un colpo che ti ha quasi steso?! E che si tratti di abuso, molestia o stupro..poco importa. Perché al di là dell’evidente differenza di gravità e delle relative conseguenze dell’atto in sé, ciò che accomuna queste tre casistiche è solamente una parola: VIOLENZA.
E quando ad una violenza già grave e assurda di per sé, si aggiunge quella a posteriori di individui – e sì, uomini e donne – che nulla hanno a che fare con quanto accaduto, tutto ciò assume contorni assai riprovevoli. Riprovevoli tanto quanto l’orco che la ha commessa.
Esattamente quel che è accaduto, e che sta tuttora avendo luogo, in una vicenda che sembra non concludersi mai, nell’agghiacciante dietro le quinte del caso Weinstein. Produttore di successo, e realizzatore di film che purtroppo nessuna di noi con un cuore, un corpo e dei sentimenti, potrà più guardare con gli stessi occhi.
Tante le attrici passategli davanti in questi almeno venti anni di carriera, poche a quanto pare quelle rimaste indenni. Nella mente o nel corpo. Una di queste: l’italiana Asia Argento.
E perché specificarne la nazionalità? Direte voi. Beh, per un motivo molto semplice quanto agghiacciante. Di nuovo. Perché se negli Stati Uniti, come altrove, nei confronti di donne – al tempo poco più che ragazzine – abusate o peggio ancora violentate da questo essere riprovevole, si sono levate solo parole di conforto, comprensione e aiuto; qui, nel paese dove ormai tutto è concesso, giornalai e giornalisti, persone comuni e meno comuni, si sono permesse il lusso di giudicare, commentare, a tratti perfino…disprezzare la diretta interessata.
Ma in virtù di cosa? Di quale esperienza di vita? Di quale presunta conoscenza dei fatti? Troppo facile commentare ormai, dietro lo schermo di un computer e una tastiera a volte fin troppo prolifica. Ma finché di tratta di politica, di società, di critiche più o meno giustificate, di notizie più o purtroppo meno vere… passi. È eticamente sbagliato e socialmente controproducente, ma fino ad una certa misura tollerabile. Ma esprimere un giudizio, un commento, entrare nel merito di una questione delicata come l’abuso sessuale subìto da una donna, sia essa un’attrice famosa o una qualunque sconosciuta, questo no.
Non è e non deve essere né ammissibile né ammesso. Né da sedicenti giornaliste, o presunte tali, né da donne che pure hanno faticato ad affermarsi come tali. Perché a prescindere dal proprio livello di sensibilità, nessuno/a può anche solo pensare di giudicare certi fatti. Non certamente un uomo, che piuttosto potrebbe e dovrebbe sprecare il suo residuo fiato nel condannare un proprio “simile”. Non certamente una donna. Che dovrebbe sapere e conoscere la difficoltà insita proprio nell’esser tale. Nel sopravvivere alla giungla quotidiana. E non quella cittadina dove molte di noi vivono. Ma in quella maschile, che ci circonda e spesso soffoca ogni giorno.
Quante di noi possono dire non aver mai subito una violenza anche solo verbale da parte di un uomo? Quante? Molto poche. Giurerei quasi nessuna. Forse non le più Selvagge, a quanto pare. Ma le più, senz’altro.
Come dimostra l’hashtag lanciato giusto qualche giorno fa su Twitter: #quellavoltache…, o il suo corrispettivo d’oltreoceano #metoo. Un hashtag purtroppo – è il caso di dirlo – di grande successo. Perché se è una vittoria che tante donne finalmente escano allo scoperto, si facciano coraggio e denuncino i propri carnefici, come Asia Argento nel caso Weinstein e come tante altre donne nel proprio mondo, è senz’altro una sconfitta vedere quante ce ne siano (state) ogni giorno, in ogni luogo. E che sia un collega, un superiore, un amico, o un parente, poco importa.
Quel che dovrebbe importare è che episodi di questo tipo non si debbano MAI verificare. E altrettanto MAI si dovrebbero poter “commentare”.