Apre oggi la retrospettiva su Inge Morath, fotoreporter dell’agenzia Magnum autrice di alcune delle fotografie più note del ‘900
Il modo migliore per raccontare un fotografo sono le sue fotografie, su questa affermazione c’è un accordo generale della critica. Da un sguardo alla scena stampata su pellicola si riconoscono lo stile, la tecnica e le intenzioni nascoste nella mente di chi scatta e ci si immerge nel suo mondo. Come fare, tuttavia, a raccontare una fotografa che era prima di tutto una viaggiatrice? Come cogliere quella sete di umanità che è il motore e l’anima del mestiere?
“La fotografia è essenzialmente una questione personale, la ricerca di una verità interiore”
A illuminarci è proprio lei, Inge Morath. Eternamente in movimento, una delle donne fotoreporter simbolo del Novecento si fermerà a Roma il tempo che basta per lasciarsi apprezzare (ma mai capire). Al Museo di Roma in Trastevere, fino al 19 gennaio 2020, una retrospettiva di 140 foto e documenti originali tenterà l’impresa di delineare la vita avventurosa e la personalità senza paura di una delle reporter di punta dell’Agenzia Magnum.
Un ritorno in un luogo del cuore. I due viaggi di Inge nella Capitale hanno segnato, paradossalmente, due momenti chiave della sua carriera. Il primo, nel 1954, è un arrivo trepidante. Inge Morath è appena entrata nelle grazie di Robert Capa, che da redattrice l’ha promossa a fotografa per la Magnum, e quello a Roma è uno dei primi lavori autonomi che ottiene. Cerca di confermare il suo stato e dar fondo alla sua ambizione mentre si districa come assistente del suo unico grande maestro, Henri Cartier-Bresson.
Quel successo che allora le sembrava di toccare con un dito l’ha invece ottenuto completamente durante la seconda visita, nel 1960, quando viene invitata di nuovo a Roma per fotografare Rosanna Schiaffino, attrice che ha richiesto esplicitamente il suo tocco magico. Il suo ruolo alla Magnum è ormai consolidato e Inge gestisce da sola le pubblicazioni, consacrata nell’olimpo della fotografia.
Tra le due date una vita di incontri, volti e scatti straordinari che il Museo di Trastevere divide in 12 sezioni. Dalla Venezia popolare intorno al Festival del Cinema, attraverso l’Iran, la Cina e la Russia più nascosta, fino agli Stati Uniti. La libertà di Inge non era solo fisica ma sopratutto mentale: nata in Austria nel 1923, era sempre stata appassionata di lingue straniere. Durante la sua carriera ha padroneggiato il russo, l’arabo e il mandarino con la stessa tranquillità delle lingue europee, aprendosi così un varco per raggiungere i suoi soggetti preferiti: poveri, gitani, contadini.
“Fotografare era una necessità – diceva – e io non volevo rinunciare a nulla”.
Nei suoi numerosi pellegrinaggi Morath ha scattato alcune tra le foto più note al mondo. Impossibile dimenticare il suo lama che si affaccia placido dal finestrino di un taxi newyorchese, oppure Mrs Eveleigh Nash ritratta in carrozza accanto al suo autista, a Londra, come una moderna matrona. Ha saputo, inoltre, regalare al pubblico nuovi lati di personaggi famosi. Un’inedita Marilyn Monroe sul set di “Misfits”, che cammina assorta ripassando dei passi di danza, o una riflessiva Audrey Hepburn che posa in abiti da giardinaggio in cortile. Sul set del film di John Huston Inge conosce inoltre il suo futuro marito, lo sceneggiatore Arthur Miller, con cui si sposerà nel 1962.
Ritratti, ma anche opere concettuali. Con Saul Steinberg, durante la sua prima permanenza a New York, collabora per realizzare un servizio fotografico di interazione tra le maschere create dell’artista e i cittadini della Grande Mela, studiando con precisione i soggetti e le ambientazioni. In Romania scatta, invece, un reportage di tutte le città ai bordi del Danubio in epoca comunista, riuscendo a interpretare dignità e semplicità di un popolo.
Forse era proprio questa la caratteristica più luminosa di Inge Morath, quella capacità di mimetizzarsi con l’ambiente circostante, lasciando ai soggetti spazio per mostrare la propria identità. Con la sua versatilità è stata in grado di saltare da un progetto all’altro, dando alla macchina fotografica il compito di scoprire la verità.
Poco prima di morire, il 30 gennaio 2002, Morath lavorava a una serie di scatti tra Austria e Slovenia, per esplorare le proprie origini. Andandosene in maniera inattesa lascia un rullino ancora da sviluppare. Dentro i suoi collaboratori trovano la sua ultima fotografia: un autoscatto del 1958 su cui la fotografa aveva posato una pianta secca a mo’ di maschera. Una metafora della morte forse, o del tempo che passa inesorabile. La perfetta conclusione non solo per una mostra, ma per una vita sempre in cammino, sempre un passo avanti a tutti.
Inge Morath. La vita. La fotografia
Museo di Roma in Trastevere
Piazza S. Egidio,1/b
30 novembre 2019 – 19 gennaio 2020
da martedì a domenica 10.00-20.00
Biglietto con integrazione di € 3,50 come segue:
biglietto unico comprensivo di ingresso al Museo e alla Mostra per l’importo di € 9,50 intero e di € 8,50 ridotto, per i non residenti; biglietto unico comprensivo di ingresso al Museo e alla Mostra per l’importo di € 8,50 intero e di € 7,50 ridotto, per i residenti;
Gratuito per le categorie previste dalla tariffazione vigente e per i possessori della MIC Card