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A 33 anni dall’omicidio senza colpevole di Simonetta Cesaroni, la commissione parlamentare Antimafia invia una relazione sul giallo di via Poma

Una traccia di sangue mai esaminata prima e l’ipotesi di un’altra arma del delitto. Da qui dovrebbero ripartire le indagini sulla crudele morte di Simonetta Cesaroni trovata in via Poma, nei locali dell’ufficio in cui lavorava massacrata da 29 coltellate il 7 agosto del 1990. La vittima, 21 anni, da pochi giorni aveva iniziato a lavorare part time il pomeriggio per l’Associazione degli Ostelli e qualcuno la uccise con una brutalità che ancora oggi, dopo 33 anni, fa paura a immaginarla.

In questi anni l’omicidio di Simonetta si è trasformato nel giallo di via Poma. Un enigma che finora si è rivelato senza soluzione. Ora, a 33 anni dai fatti arriva una relazione della Commissione Parlamentare che scrive alla Procura di Roma, indicando alcuni punti da cui partire per rilanciare le indagini e arrivare a una verità troppo a lungo negata, alla famiglia prima di tutto, e alla comunità in secondo luogo.

Nella relazione si suggerisce di ripartire da una traccia di sangue di gruppo A positivo trovata sulla maniglia di una porta, repertata dalla polizia ma su cui non si è mai approfondito a chi appartenesse. Non solo, si chiede anche di riprendere in esame l’idea che l’arma del delitto, quella con cui sono stati inflitti 29 fendenti nel corpo di Simonetta Cesaroni possa non essere il tagliacarte dell’ufficio, ma un’arma da taglio diversa, con una lama più lunga e appuntita. Da questi elementi potrebbe ripartire un’indagine su una morte ancora misteriosa per risolvere una volta per tutte il giallo di via Poma e dare un’identità all’assassino della povera ragazza.

Simonetta venne trovata in una pozza di sangue, seminuda e violata con 29 coltellate. Il sangue era stato in parte ripulito. A scoprire il corpo fu la sorella Paola, allarmata dal ritardo della sorella che era sempre puntualissima. Le indagini si concentrarono prima su Federico Valle, nipote di un anziano inquilino dello stabile di via Poma, poi sul portiere, Pietrino Vanacore che fu arrestato e scarcerato e poi, anni dopo, si suicidò. Infine venne accusato del delitto Raniero Busco, fidanzato dell’epoca di Simonetta, imputato diversi anni dopo in un processo che finì con l’assoluzione in appello. In mezzo c’è stato di tutto da folkloristici personaggi su cui si allungava l’ombra dei servizi segreti a piste che correvano sul filo del telex, fino alle ombre sul presidente dell’Associazione Ostelli della Gioventù. Ma nessuna strada imboccata finora ha portato alla verità. Ora la commissione parlamentare antimafia, chiede che si ritorni metaforicamente sul luogo dell’omicidio di Simonetta Cesaroni, a via Poma e si riparta da quella macchia di sangue repertata mai legata a nessun soggetto ascoltato o indagato e dunque a nessun alibi.

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