“Ci incontreremo anche quest’ anno, a piazza Giovanni XXIII nei pressi di San Pietro per non dimenticare, e per lanciare un messaggio a chi spera che la polvere del tempo possa coprire ogni cosa: noi siamo sempre qui, non rinunceremo mai alla speranza. Non permetteremo mai a nessuno di impedirci di continuare a sperare di poter arrivare alla verità e alla giustizia. Saremo una spada di Damocle sulle teste di chi aspetta di vederci sconfitti. E’ inutile continuare a cercare a mettere una pietra su questa vicenda, continuano a provarci e, pietra su pietra, hanno costruito un muro altissimo in 34 anni, un muro fatto di omertà. Papa Francesco una volta ha detto: “Costruiamo ponti, non alziamo muri.” E io chiedo a lui che faccia questo per Emanuela: costruisca ponti per arrivare finalmente alla verità e non aiuti a continuare ad alzare quel muro che, da 34 anni, circonda questa vicenda.”
L’ appello di Pietro Orlandi per il sit-in di oggi in ricordo di Emanuela è, come sempre, accorato e pieno di forza. Anche quest’ anno famigliari, amici, persone comuni si ritroveranno per manifestare la loro sete di verità e di giustizia per una vicenda oscura e terribile, un vero pozzo dei misteri che 34 anni fa si è inghiottito una ragazzina e la serenità di chi le voleva bene.
Emanuela Orlandi, la storia di una sparizione carica di misteri
Quella di Emanuela Orlandi è la storia di una ragazzina sparita nel nulla in un pomeriggio d’inizio estate, nelle strade affollate di una grande città. E’ un’ enigma lungo 34 anni, che sembra destinato a rimanere tale per sempre. Era il 22 giugno del 1983 quando Emanuela, 15 anni, cittadina vaticana, figlia di un messo della Prefettura della Casa Pontificia , uscì di casa per andare ad una lezione di musica nel centro di Roma, e nessuno la rivide più.
La scomparsa di Emanuela è uno dei gialli italiani che appaiono più inestricabili, e la prova è che, a distanza di oltre trent’anni, la sua famiglia non si arrende, e rimane ancora in prima linea per spingere ad indagare, a scavare, a capire che fine abbia fatto, veramente, la ragazzina sorridente con la fascetta tra i capelli, cristallizzata nell’ immagine stampata sui 3000 manifesti che tappezzarono i muri di Roma tre giorni dopo la sua scomparsa.
L’ultima richiesta, come riferisce il Corriere della Sera, è quella rivolta alla Segreteria di Stato Vaticana, tramite l’ avvocato rotale Laura Sgrò. Nel corso dei processi Vatileaks è infatti emersa la possibilità che oltre, a quelli noti ci fossero altri dossier segreti vaticani trafugati, e non si esclude dunque la possibilità che tra questi possa essercene uno riguardante il caso Orlandi. La famiglia chiede dunque di essere ricevuta da monsignor Parolin per avere l’ accesso a questi eventuali documenti. La risposta è arrivata,il giorno dopo la pubblicazione dell’ articolo sul quotidiano, da monsignor Becciu, sostituto agli affari generali della Segreteria di Stato, che ha escluso la possibilità di un incontro, con un netto “Per noi il caso è chiuso, abbiamo già dato tutti i chiarimenti richiesti”.
La famiglia di Emanuela, capeggiata dal fratello Pietro, sembra ormai essere rimasta la sola a chiedere ancora caparbiamente di cercare la verità, mentre anche la magistratura sembra essersi ormai arresa davanti all’ impossibilità di trovare il bandolo di una delle matasse più intricate che la storia italiana ricordi, scegliendo di archiviare l’ ennesima inchiesta, tra le proteste e i ricorsi non accolti, dei famigliari.
E d’altronde, come si fa ad archiviare e mettere nel dimenticatoio la scomparsa di una figlia, di una sorella, di una ragazza con tutta la vita davanti? Come si fa a non continuare a chiedersi: cosa è successo a Emanuela?
Ritornando a quel pomeriggio di 34 anni fa, l’ ultimo contatto che la ragazzina ebbe con la famiglia, fu una telefonata a casa in cui raccontava alla sorella di essere stata fermata da un uomo che le aveva offerto un lavoretto semplice di pubblicità per una ditta di cosmetici, in cambio della sproporzionata cifra di 375000 lire dell’ epoca. Dall’altra parte della cornetta, la sorella maggiore le sconsigliò di non accettare l’ offerta che le puzzava di truffa, ed Emanuela disse che, appena tornata a casa, ne avrebbe parlato con la madre.
Ma a casa Emanuela non tornò, inghiottita da un buco nero che da quel giorno si riempì delle più disparate ipotesi e suggestioni, tra segnalazioni anonime, depistaggi ed elementi invece considerati attendibili dagli inquirenti. Le indagini dei primi venti anni successivi al sequestro hanno infatti battuto molte piste, e tanti sono stati gli attori comparsi sul palcoscenico della tragedia di Emanuela:una traccia a lungo seguita, fu quella legata al terrorismo internazionale e al gruppo di nazionalisti turchi Lupi Grigi, di cui faceva parte Ali Agca, l’ uomo che il 13 maggio 1981 sparò a Papa Giovanni Paolo II in piazza S.Pietro. Ma quel primo filone d’ inchiesta, che per molti vedeva Emanuela vittima, anzi pedina, di un gioco tanto più grande di lei, usata forse, per ricattare e condizionare l’ azione politica del Papa in quegli anni tumultuosi, si concluse nel 1997 con un ‘niente di fatto’.Solo quintali di documenti in cui non si riuscì a trovare quello che si stava cercando: delle prove.
Un altro capitolo giudiziario sulla vicenda di Emanuela è stato aperto poi nel 2008, con le dichiarazioni di Sabrina Minardi, ex- compagna del boss della Banda della Magliana, Enrico De Pedis, secondo la quale, fu proprio la Banda a rapire Emanuela, che poi sarebbe stata uccisa e il suo corpo gettato in una betoniera a Torvaianica, sul litorale a sud di Roma. A seguito di queste affermazioni, ritenute in parte attendibili e verificate, oltre alla Minardi, altri tre ex-componenti della banda, che sarebbero stati gli esecutori materiali del rapimento, vennero iscritti nel registro degli indagati per l’ ipotesi di concorso in omicidio e sequestro di persona, insieme a monsignor Pietro Vergari, ex-rettore della Basilica di Sant’ Appollinare in cui, tra vescovi e papi, fu inspiegabilmente sepolto anche De Pedis, noto criminale e considerato invece ‘benefattore’ della basilica, e il fotografo Marco Accetti, un singolare personaggio, autoaccusatosi di aver partecipato al sequestro.
In questo secondo filone d’ inchiesta le trame della grande politica internazionale hanno lasciato il posto a quelle, già adombrate negli anni precedenti, dei grandi movimenti finanziari e al posto di terroristi, spioni, segretari di stato, i riflettori si sono spostati ad illuminare di volta in volta come nuovi protagonisti: banditi, faccendieri, pentiti di mafia, e più volte è stato tirato in ballo il nome di monsignor Paul Marcinkus, il potentissimo presidente dello Ior, la banca vaticana.
Non sono mancate poi, in questi anni, ipotesi relative a un giro di festini a sfondo pedofilo, sostenuta, tra gli altri, da Padre Amorth, il più noto esorcista vaticano, e quelle sulla nuova vita di Emanuela: di volta in volta la si è segnalata in Sudamerica, sposa volontaria e felice di un ‘Lupo Grigio’ in Germania, suora in Lussemburgo, internata in una casa di cura londinese, accudita da medici e infermieri.
Tra depistaggi, reticenze e fantasie, la verità potrebbe essere stata sfiorata in questi anni, ma non provata, e quello che rimane del caso di Emanuela Orlandi è ora la bandiera bianca alzata dagli inquirenti e la battaglia caparbia di una famiglia che, seppur provata da 34 anni di lotta e di attesa, non si arrende ancora e attende di sapere, insieme all’ opinione pubblica: che cosa è successo ad Emanuela?