
Emanuela Loi aveva 24 anni il 19 luglio 1992. Uno scricciolo con una cascata di riccioli biondi a incorniciare un viso in cui brillavano un paio di occhi neri pieni di vita e di forza.
Una vita spezzata alle 16.59 di una domenica d’estate dalla detonazione di 90 kg di esplosivo contenuti in una Fiat 126 rubata e parcheggiata in via Mariano D’Amelio, a Palermo.
Destinatario di quell’esplosione comandata da Cosa Nostra è il giudice Paolo Borsellino. Insieme a lui, sotto casa della madre del magistrato, saltano in aria anche gli agenti della sua scorta. Agostino Catalano, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina, Claudio Traina ed Emanuela Loi.
L’Italia, ancora sotto choc per il massacro di Capaci di una manciata di settimane prima, rimane paralizzata da questo che sembra un ulteriore atto di guerra di Cosa Nostra contro le istituzioni. Uno dei più gravi di quel periodo indimenticato di bombe, attentati, e instabilità.
La strage di via D’Amelio uccide Paolo Borsellino ma, come accaduto nel caso del collega Giovanni Falcone, alla sua sorte vengono accomunati anche i suoi ‘angeli custodi’. Tutti giovani, professionali e orgogliosi di appartenere alle forze dell’ordine.
Emanuela Loi, la poliziotta della scorta di Paolo Borsellino innamorata del suo lavoro
Emanuela Loi, a sentirla raccontare da chi l’ha conosciuta, è l’esempio di questo sentimento.
Nata a Sestu, nel cagliaritano, Emanuela si era diplomata alle magistrali, con l’intenzione di fare la maestra. Prestissimo però, aveva voluto tentare la strada delle forze dell’ordine. Un lavoro che le avrebbe assicurato meno precarietà e più stabilità.
Il concorso in polizia lo passa subito. Emanuela Loi è una ragazza davvero brillante e seria, e durante il corso per allievi agenti a Trieste, si appassiona sempre di più al suo futuro lavoro.
“Non aveva grilli per la testa. Era socievole, amichevole e determinata. E molto seria, studiava tanto”. Ha raccontato una ex- compagna del corso allievi.
Emanuela Loi diventa poliziotta nel 1990 e, come tutti i suoi colleghi di corso, spera di venire assegnata in Sardegna, in modo da riavvicinarsi a casa.
Quando le comunicano che la sua destinazione è tutt’altra, ovvero Palermo, una città che già brucia per la guerra di mafia, lei non la prende benissimo, ma fa buon viso a cattivo gioco, soprattutto in famiglia.
Se davanti a una compagna di corso scoppia a piangere per quella destinazione così difficile, per i genitori e i fratelli non ha che parole rassicuranti: “È il mio lavoro, non posso tirarmi indietro”. E parte per la Sicilia, pronta a fare il suo dovere.
Pur giovane, Emanuela Loi è brava e ricopre subito incarichi delicati. E’ una tiratrice scelta, e finisce nel servizio di scorta.
Gli ex colleghi la descrivono con gli aggettivi: “Gentile, risoluta, pignola”. Un mix che la fa apprezzare, e che deriva dal profondo attaccamento che sviluppa per il suo mestiere.
Emanuela Loi, uccisa nella strage di Via D’Amelio
Certo, Palermo brucia, e lei che ne respira l’aria ogni giorno, lo sa meglio di chiunque altro. Quando il giorno della strage di Capaci, la madre la chiama terrorizzata mentre assiste alle immagini di morte che scorrono in tv, lei si precipita a risponderle e la tranquillizza in tutti i modi. Anche perché Emanuela Loi, non ha raccontato a casa che ha iniziato a lavorare nelle scorte.
Un lavoro di puro servizio, un lavoro che è l’essenza del mestiere di poliziotto, ma che, negli anni ’90, a Palermo, è uno dei lavori più rischiosi che esistano.
Il destino le farà incrociare la sua sorte con quella del magistrato che più di tutti aveva lavorato fianco a fianco con Giovanni Falcone: Paolo Borsellino.
E quando la sorte di una scorta e di uno scortato si intrecciano, non si possono slegare più. Fino alla fine dell’incarico.
E la fine arriva, troppo presto e nel modo più tragico. Quando l’asfalto di via D’Amelio salta in aria, a morire sono Paolo Borsellino e tutta la sua scorta.
Quattro uomini e una donna. Una giovane donna minuta, vivace, gentile, determinata, brava e seria. Emanuela Loi, la prima poliziotta a cadere per cause di servizio.