Nell’ anniversario della Repubblica Romana del 1849 vi raccontiamo la storia di Colomba Antonietti
E’ l’alba del 9 febbraio 1849 e Roma si sveglia con una pelle nuova. Per dirla con le parole del celebre telegramma inviato dal giovane Mameli a Giuseppe Mazzini: “Roma! Repubblica! Venite!”
Inizia così l’ avventura della Repubblica Romana del 1849 che lasciò un’ impronta decisiva anche se finì, pochi mesi dopo, quando una strenua resistenza venne piegata dalle cannonate impietose dei francesi che fecero strage dei difensori del Gianicolo.
Passeggiando sul colle, tra i busti dei garibaldini protagonisti di quelle giornate, se ne può’ trovare uno solo che ritrae una donna.
Aveva 21 anni, si chiamava Colomba Antonietti e il 13 giugno 1849 fu colpita da una palla di cannone mentre era impegnata a difendere Roma repubblicana.
“Il Monitore Romano” scelse il titolo “Martiriologio della Libertà Italiana” per l’ articolo in cui raccontava della fine eroica di Colomba, dello stupore dei compagni nel capire che era una donna e del dolore del marito che la piangeva sul campo di battaglia.
Colomba Antonietti, la ragazza che morì sulle barricate della Repubblica Romana del 1849
Era nata a Bastia Umbra, questa indomita ragazza soldato, da madre trasteverina e padre umbro. Con la famiglia si era trasferita a Foligno dove, giovanissima, incontrò l’ uomo del suo destino, il nobile Luigi Porzi che era arruolato nella guardia pontificia ed era di stanza in quel paese. Contrastato, il loro amore, lo fu subito, da entrambe le famiglie, quella popolana di Colomba e quella aristocratica di Gigi. Ma i due giovani si unirono in matrimonio nonostante tutti, clandestinamente.
Spiriti di fuoco che si erano trovati. Lui, il soldato, rientrato a Roma passò tre mesi nelle carceri di Castel Sant’ Angelo per essersi sposato senza averne l’ autorizzazione, lei quel marito che i suoi non volevano, lo seguì nella Capitale e nel suo destino, il destino di un soldato che scelse di combattere per il sogno di un’ Italia unita e libera. E lei, la ragazza ribelle che dal verde centro d’ Italia era arrivata in una Roma percorsa da fervori di rivolta, in quel dedalo di vicoli che era ed è Trastevere, dove ogni giorno veniva alimentato e si ingrossava il fuoco della ribellione ricevette la sua educazione politica, sposò gli ideali risorgimentali e scelse di combattere per essi, e non solo a parole. Non era tipo.
Quando scoppiò il ’48, la moglie del conte Porzi seguì sulle barricate il marito. Un taglio ai suoi bei ricci neri, la divisa da bersagliere, il fuoco della rivoluzione, la resero un soldato come tutti gli altri, anzi più valoroso. Poco prima della sua fine a Porta San Pancrazio, il comandante Garibaldi stesso notò il coraggio di questo soldato speciale durante la battaglia di Velletri. Fu così ammirato da questa ragazzina intrepida da paragonarla pubblicamente alla creatura che più amava sulla terra, la sua inseparabile Anita.
Tutti i cuori dei patrioti in quei giorni erano rivolti a Roma. La città, da cui il Papa Pio IX era fuggito di nascosto alla volta di Gaeta, tentava di resistere quotidianamente all’ assedio delle migliaia di uomini al comando del generale Oudinot. Piegare la resistenza e rimettere Papa Mastai sul trono era un obbiettivo perseguito attraverso una quotidiana scarica quasi ininterrotta di colpi di cannone. Asserragliati sul colle del Gianicolo i difensori di quel sogno spudorato che fu una Roma libera, democratica, laica e repubblicana, davano prova di sorprendente resistenza, nonostante il sangue che macchiava le strade che scendevano verso Trastevere.
Dalle barricate al busto del Gianicolo
Tornata a Roma dopo Velletri con il marito, Colomba si era dapprima avvicinata al gruppo di donne guidate dalla principessa Cristina Trivulzio di Belgioioso e da Margareth Fuller che in quei giorni infernali avevano organizzato un instancabile servizio di assistenza ai feriti e ai moribondi. Ma Colomba non era nata per questo: moglie di soldato aveva da tempo scelto di combattere lei stessa, il suo posto era lì dove infuriava la battaglia, si rimise la divisa e salì sulle mura gianicolensi. E lì, al centro di tutto, si compì, insieme a quello di tanti altri suoi coetanei, anche il destino di questa ventenne che colpita, cadde. Le cronache del tempo, venate di partecipe retorica, raccontano che un compagno accorse in suo aiuto e solo quando le aprì la camicia, per aiutarla a respirare si accorse: “E’ una donna!” fu il grido sbalordito, mentre tra le braccia del marito accorso, Colomba esprimeva l’ ultimo pensiero della sua vita terrena: “Viva l’ Italia!”
Il suo corpo senza vita fu deposto nella chiesa di Santa Maria dei Sette Dolori. I funerali si tennero il giorno dopo nella Chiesa di San Carlo ai Catinari, dove era cappellano Ugo Bassi, ora le sue spoglie riposano nell’ Ossario Garibaldino, sullo stesso colle per difendere il quale senza paura si sacrificò.
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