Chi era Giulio Regeni? Lo racconta, benissimo, “Giulio fa cose”, il libro scritto a quattro mani dai genitori Paola Deffendi e Claudio Regeni. Abbiamo raccolto il loro racconto in occasione della presentazione romana del volume.
Paola, Claudio e Alessandra arrivano puntualissimi alla libreria Feltrinelli della Galleria Colonna, per presentare il loro “Giulio fa cose”. Sono la mamma, il papà, e l’avvocata di famiglia di Giulio Regeni alla cui vita il volume è dedicato. Ad accoglierli un fragoroso applauso che si prolunga per un tempo che sembra essere interminabile quando salgono sul palco. Insieme al giornalista Marino Sinibaldi e all’attore Valerio Mastandrea, srotolano lo striscione giallo con la scritta “Verità per Giulio Regeni”. La data scelta per la presentazione, il 3 febbraio scorso, non è casuale perché proprio quel giorno, quattro anni fa, il corpo del giovane ricercatore veniva ritrovato senza vita vicino al Cairo, in un fosso lungo l’autostrada per Alessandria. Quel momento Paola, la mamma, lo ricorda molto bene:
“Oggi, quattro anni fa, eravamo al Cairo e avevamo ancora la speranza, che ogni genitore ha quando scompare il proprio figlio, di ritrovare e riabbracciare Giulio. Eravamo a cena, e nel giro di poche ore tutto è precipitato e abbiamo appreso la notizia della sua morte”.
Come in un dialogo continuo con il lettore, Paola e Claudio raccontano dal loro punto di vista quello che Giulio Regeni è stato. Quello che ha fatto in questi anni e, soprattutto, quello che continua a fare oggi. È questo il senso del titolo del volume, Giulio fa cose, come hanno spiegato i due coniugi:
“Restare fermo, per lui, sarebbe stato quasi un atto di egoismo. Non sarebbe stato Giulio. Ha sempre viaggiato, iniziando quando era ancora al liceo. Andò a frequentare il quarto e quinto anno in New Mexico, per poi decidere di trasferirsi in Inghilterra per frequentare lì l’Università. D’estate invece andava a fare stage all’estero, quelli per cui i giovani non vengono pagati, ma che sono importanti per migliorare il proprio CV. Abbiamo scelto questo titolo per raccontare quante cose avesse fatto, nonostante la sua giovane età ed essendosi trovato a vivere la condizione di precarietà lavorativa a cui sono condannati i giovani di oggi”.
Negli anni trascorsi all’estero, per motivi di studio prima e di lavoro poi, Giulio Regeni ha incontrato e conosciuto tante persone. I suoi genitori lo hanno appreso soltanto il giorno del suo funerale, come ha raccontato il padre:
“Tantissimi ragazzi della sua età sono venuti a Fiumicello per salutarlo un’ultima volta. Giulio ha avuto, come molti giovani di oggi, la fortuna e l’opportunità di crescere in un ambiente che lo ha messo in contatto con tanti paesi e con diverse lingue. Il fatto che questo sia comune a tanti ragazzi di oggi fa in modo che molti si siano immedesimati sia in noi, come genitori e famiglia, sia in nostro figlio”.
Giulio Regeni quindi chi era? Un bambino curioso, intelligente e pieno di vita. Che faceva e sapeva molte cose perché gli piaceva leggere e studiare, fare domande e trovare, da solo e con le sue forze, le risposte che stava cercando. La madre lo descrive così.
“Un ragazzo generoso, straordinariamente generoso. Se gli piaceva qualcosa la leggeva e la imparava. Era pronto a mettersi in discussione ogni volta che lo riteneva giusto. Amava viaggiare e questa passione l’aveva ereditata sin da piccolo, quando partivamo tutti e quattro insieme per le vacanze e ha continuato a coltivarla crescendo”.
Grazie alla forza incredibile di un padre e di una madre, il dolore privato di una famiglia si è trasformato in una battaglia pubblica. Ostacolata però sin dall’inizio, a cominciare dal ritiro in Egitto nel 2016 dell’allora ambasciatore italiano Giampaolo Cantini. Il suo ritorno nel 2017 è stato un duro colpo per loro:
“È da tempo che chiediamo il richiamo per consultazione dell’attuale ambasciatore Cantini.” Racconta Claudio Regeni. “Inviato con il compito di agevolare le comunicazioni tra il governo italiano e quello egiziano e portare avanti la battaglia per ottenere verità e giustizia. Questo purtroppo non è avvenuto. Sentiamo che c’è un fiorire di iniziative in Egitto, mentre per quanto riguarda la nostra ricerca di verità non abbiamo avuto alcun tipo di riscontro. Lo viviamo come una mancanza di rispetto di quelli che insieme a noi chiedono che questa storia non venga messa da parte, ma portata avanti per ottenere un processo regolare dei mandanti e conoscere le cause che hanno portato alla morte di Giulio”.
La stoccata di Paola alla politica italiana, che in questi quattro anni li ha lasciati in uno stato di totale abbandono, non si fa attendere. R si scaglia come una freccia a tutta velocità sul bersaglio.
“Abbiamo avuto modo di vedere la reazione egiziana quando Cantini, non (Maurizio) Massari, è stato (ri)mandato al Cairo, festeggiavano dicendo ‘caso Regeni chiuso’. Non ha fatto nulla per nostro figlio, non era e non è interessato alla verità. Dietro ci sono i Palazzi (riferendosi a Palazzo Chigi, di fronte alla Galleria Alberto Sordi dove si è svolta la presentazione del libro ndr). Speriamo che questa voce si trasformi in eco e arrivi”.
Il grande vuoto istituzionale è stato colmato, in parte, dalla solidarietà mostrata da persone comuni che hanno sposato e si sono unite alla causa della famiglia Regeni. Striscioni, bracciali e spille gialle, il colore preferito di Giulio, sono diventati il simbolo di verità e trasparenza. Improvvisamente un’ ‘onda gialla’ ha iniziato ad invadere il Paese e ad uscire dall’Italia. Ai numerosi gesti di solidarietà si sono però alternati episodi spiacevoli. Come la rimozione degli striscioni, che hanno riaperto una ferita non ancora rimarginatasi, come ricorda Paola parlando dell’episodio accaduto a Trieste quando
“il Sindaco, dopo averlo fatto rimuovere dal Municipio, disse che era stato come ‘togliere un dente cariato’, senza curarsi di quanto male avrebbe potuto farci un’affermazione del genere. Sono stati tanti i cittadini, i privati e le associazioni che invece li hanno appesi ai propri balconi e finestre. Ciò significa che l’opinione pubblica ne ha capito l’importanza e sta dalla nostra parte. Quando vengono rimossi per noi è un grande dolore”.
Tra le tante cose che Giulio Regeni e la sua famiglia hanno dovuto imparare a fare in questi quattro anni, c’è il difendersi da attacchi e accuse infondate. Alla loro battaglia si è unita anche Alessandra Ballerini, che dal 2016 si occupa del caso del giovane ricercatore e che oggi insieme alla famiglia continua a chiedere che venga fatta luce sul caso Regeni:
“In Egitto 3 / 4 persone al giorno scompaiono. Alcune vengono fatte ritrovare morte. Alcune riappaiono anche anni dopo con un arresto firmato in quel momento. Moltissimi invece non riappaiono più. Noi ci auguriamo che tutte le persone che lo hanno spiato, tradito, seguito, torturato, quelli che hanno scaricato il suo corpo, che ne hanno coperto le tracce, che hanno ucciso cinque innocenti dopo e che continuano a mentire oggi parlino. A queste persone diciamo che troveranno pace solo quando parleranno e c’è un modo per farlo, attraverso la piattaforma realizzata da Repubblica che garantisce l’anonimato della propria testimonianza o, se sono più coraggiosi, dico di scrivere direttamente alla mia mail. Ma che si facciano vivi perché dopo quattro anni abbiamo bisogno di verità!”.
Al suo appello si aggiunge quello di Claudio e Paola che, sul finale, chiedono alla politica più presenza:
“Chiediamo che chi cammina in quei Palazzi ci metta la testa, il cuore, l’intelligenza, la dignità e il rispetto per i cittadini e faccia davvero qualcosa. L’Italia ha fatto zero pressioni alla Comunità Europea tanto che il 15 giugno 2016, quando siamo andati alla Commissione Diritti Umani, avevamo persone dell’Ambasciata egiziana che quando parlavamo di tortura ridevano. Un paese che vuole avere un ruolo centrale nel Mediterraneo dovrebbe porre al centro il rispetto, la dignità e la tutela dei diritti dei cittadini e magari quello che è successo a Giulio può aiutare a fare molto di più su questo piano”.
L’invito alla collaborazione è oggi più vivo che mai ed è rivolto soprattutto a chi sa quello che accadde quel 25 gennaio di quattro anni fa perché, come si legge in un bellissimo passo del libro:
“È solo condividendo con noi ricordi e notizie che troverete e ci consentirete di avere pace. Aiutateci ad avere giustizia. Perché Giulio fa cose, ma non può fare tutto da solo”
