L’ 8 luglio 1593 nasceva a Roma Artemisia Gentileschi, artista di grande talento e donna coraggiosa che lottò contro i soprusi.
Artemisia Gentileschi, è praticamente l’unica artista donna della sua epoca, divenuta ‘popolare’. E questo, in forza del suo grande talento ma anche, della sua determinazione e del suo destino che l’ha vista battersi contro un’ingiustizia.
Artemisia è dunque una pioniera del suo campo, ma anche una donna che ha combattuto battaglie su cui nella sua epoca si preferiva piuttosto tacere.
Artemisia Gentileschi: una donna che voleva fare l’artista
Se pensi di essere una donna coraggiosa solo perché tutte le mattine hai la forza di metterti in macchina ed affrontare l’infernale traffico capitolino uscendone indenne fisicamente e psicologicamente (ma solo il tempo potrà dimostrarlo), non hai idea di cosa potesse significare vivere nella Roma del XVII secolo, essendo donna ed avendo la “pretesa”, nonché le doti, per affermarti come artista.
Del coraggio e della perseveranza femminile Artemisia Gentileschi fu un esempio lampante. Nata a Roma l’8 luglio 1593, prima di quattro figli, rimase presto orfana di madre.
Il padre toscano, Orazio Gentileschi, era uno stimato esponente del caravaggismo romano. Trapiantato a Roma nel quartiere degli artisti, tra Porta del Popolo a Trinità dei Monti, era ben inserito in questo giro (era intimo anche dello stesso Caravaggio) ed otteneva commesse importanti.
La scoperta del talento
Chissà se per il padre è stata una disdetta che l’unico dei suoi figli ad avere propensioni artistiche fosse la femmina.
Artemisia Gentileschi iniziò a frequentare il laboratorio del padre già intorno ai 12 anni, dopo la morte della madre. Così, mentre si occupava di mandare avanti la casa e di tutte le incombenze ritenute ‘femminili’, trovava anche modo e tempo di apprendere i primi rudimenti dell’arte.
Un apprendistato svolto rigorosamente all’interno delle quattro mura domestiche, perché, all’epoca, la pittura non era roba da donne.
Artemisia si cimentò con passione ed impegno nell’apprendimento delle tecniche dei colori e del disegno ottenendo importanti risultati e il padre la incoraggiò a seguire la sua strada.
Il precoce talento di Artemisia Gentileschi poté essere coltivato e sviluppato solo perché fu il padre ad insegnarle l’arte visto che, in quanto donna, le erano precluse le scuole di formazione.
Non vi sorprenderò dicendovi che nella Roma papale, nella Roma cattolica del ‘600, la donna non acquisiva uno status sociale grazie alle sue capacità sul lavoro (mondo del tutto interdetto al gentil sesso), bensì si identificava nei ruoli tradizionali di moglie, madre e figlia.
Non vi sorprendo perché questa realtà della donna è il sottile “filo rosso” che l’ha accompagnata per millenni fino alle soglie dei nostri tempi moderni.
Lo stupro e la battaglia in tribunale
Tornando alla nostra artista, entriamo nel vivo del suo dramma. Artemisia fu coraggiosa ad imporsi in un campo a esclusivo appannaggio maschile, ma ben più coraggiosa fu quando decise di affrontare la prepotenza e pretendere giustizia.
Per insegnarle i segreti della prospettiva, il padre la fece seguire nella sua bottega dall’amico e collaboratore Agostino Tassi il quale stuprò Artemisia.
A questo punto la vicenda si fa interessante. Non fu infatti la vittima a denunciare la violenza subita, bensì il padre Orazio circa un anno dopo. E non per il motivo che tutte noi siamo portate a credere, l’abuso sessuale subito dalla figlia, ma perché il Tassi aveva “cavato dalle mane della medesima zitella alcuni quadri di pitture di suo padre et in specie una Juditta di capace grandezza”.
Orazio Gentileschi si presentò, infatti, lui stesso come vittima, di furto!
Al processo Artemisia Gentileschi narrò i fatti con inusuale crudezza e venne anche torturata (tanto per non farci mancare niente!) per sincerarsi della sua onestà nella narrazione del sopruso ricevuto. Agostino Tassi fu condannato a qualche mese di reclusione, terminata la quale tornò ad essere amico del padre della vittima.
Fin dalla prima delle sue opere, “Susanna e i vecchioni” (dipinta a soli diciassette anni), fino al suo lavoro più celebre, ” Giuditta che decapita Oloferne”(conservato agli Uffizi), Artemisia Gentileschi riesce a riportare su tela la sofferenza della sua vita con colori intensi e passionali e con realistica crudezza di particolari.
La forza espressiva del suo linguaggio pittorico si manifesta in tutta la sua profondità quando dipinge le eroine bibliche, le storiche peccatrici e le sante che prendono vita dal suo pennello.
Artemisia metteva sé stessa, la sua vita, il suo ardore, la sua storia, raccontava chi era e non il ruolo che ricopriva.
La sofferenza e la violenza che trapelano dai suoi quadri erano le condizioni sociali che aveva vissuto in prima persona.
Non una polemica quindi, non una denuncia, ma un racconto di sé.
Artemisia Gentileschi lascia Roma: Firenze, Londra e Napoli
Le armi della nostra artista furono la determinazione, una forte personalità, soprattutto, le spiccate doti artistiche che la portarono ad ottenere la stima del Granduca Cosimo II e ad essere la prima donna accettata all’Accademia delle Arti e del Disegno a Firenze, traguardo insperato per i tempi.
Il periodo fiorentino fu molto florido. Trasferitasi per sfuggire alla “vergogna” dello stupro (!) cambiò il cognome adottando quello dello zio, Lomi, per dare un taglio netto con il passato romano. Andò poi in sposa ad un modesto artista del posto, Pierantonio Siattesi.
La convivenza con una donna determinata e ambiziosa come Artemisia non era facile per il marito. Anche perché lei era di gran lunga più stimata del consorte in campo lavorativo.
La loro, infatti, non fu un’unione riuscita. Da questo matrimonio Artemisia Gentileschi ottenne però uno status sociale dignitoso per una donna e l’indipendenza dal genitore.
Ormai madre ed artista affermata fece ritorno a Roma dove collaborò con il padre ma, non ottenendo ricche commesse, fece rotta per Napoli. Nella città partenopea ottenne attestati di grande stima. Poi, dopo una breve parentesi in Inghilterra alla corte di Carlo I per seguire il padre, concluse i suoi giorni ai piedi del Vesuvio.
Non si arrese ai pregiudizi
Consapevole dei limiti che il suo sesso le comportava, lei stessa si rammaricava del fatto che “il nome di donna fa stare in dubbio finché non si è vista l’opera”. Non si arrese ai pregiudizi e alle limitazioni.
Artemisia Gentileschi sembra essere stata una donna al di fuori dal suo tempo. In una Roma dove la Chiesa Cattolica incentivava il culto mariano per evidenziare il valore della verginità femminile, lei ha piena coscienza di sè stessa e del suo essere donna. E si afferma con determinazione e vigore in un mondo tutto al maschile.
Ragazze penso, anzi ne sono certa, che il lascito di Artemisia sia giunto fino a noi: passione, forza, determinazione ed indipendenza:facciamone buon uso!
Francesca Guglielmi