Un’intricata vicenda di giustizia sportiva su cui si allungano ancora oggi dubbi e ombre, è quella che ha visto protagonista l’oro olimpico azzurro Alex Schwazer, la cui vera storia viene raccontata ora anche da una docuserie in quattro puntate, disponibile su Netflix dal 13 aprile prodotto da Indigo. Ma qual è la storia vera di Alex Schwazer e come è andata a finire? Ripercorriamo tutte le tappe di questa incredibile vicenda.
L’oro olimpico e il primo scandalo doping
E’ un pomeriggio caldissimo a Pechino e un ragazzo dopo aver percorso 50 chilometri taglia per primo il traguardo. Una fatica che gli vale l’oro alle Olimpiadi, l’unico per l’atletica italiana ai giochi del 2008. Atteso a bordo pista per le battute a caldo di rito, scoppia in un pianto. Sono lacrime di gioia quelle versate da Alex Schwazer quando a 23 anni raggiunge l’obbiettivo più grande che un atleta possa sperare di raggiungere in carriera.
Esattamente quattro anni dopo, l’8 agosto del 2012, Alex Schwazer piange ancora le sue lacrime davanti alle telecamere. Questa volta però non di gioia, ma di disperazione, rabbia, frustrazione, colpa e chissà cos’altro si agita nel suo animo.
Uno degli atleti di punta dello sport azzurro sta confessando l’inconfessabile: “E’ vero. Mi sono dopato. Ho preso l’Epo. L’ho comprato in Turchia. Ho fatto tutto da solo”.
L’irregolarità non riguarda l’oro olimpico, conquistato con la sola forza del talento e della tenacia, ma le ultime prestazioni.
L’atleta racconta di essere stato schiacciato dallo stress e dalle aspettative all’indomani della vittoria di Pechino, e questo lo avrebbe spinto a chiedere sempre di più a se stesso e alle sue prestazioni.
Immediatamente un tifone si abbatte su di lui e tocca mediaticamente anche la sua compagna dell’epoca, un’altra stella dello sport azzurro, la pattinatrice Carolina Kostner, totalmente all’oscuro del doping del compagno, che però l’aveva indotta a mentire.
Dal momento della positività e dell’ammissione di colpa, come prassi, si aprono a carico del marciatore l’inchiesta sportiva e l’inchiesta penale. L’Italia infatti, è uno dei pochi paesi in cui il doping configura un reato. Finisce con l’azzurro che patteggia 8 mesi e 6000 euro di multa. Il tribunale nazionale antidoping lo condanna intanto a tre anni e sei mesi di squalifica che sarebbe quindi terminata a fine gennaio 2016.
Alex Schwazer, la storia vera di un caso intricato e pieno di punti oscuri
Nel 2016 ci sono le Olimpiadi, a Rio, e Schwazer, una volta che si è preso un po’ di tempo per vivere ‘normalmente’, trasferendosi a Innsbruck per frequentare l’università, decide che ha bisogno di tornare ad allenarsi e a respirare la speranza del ritorno all’agonismo del più alto livello. E’ giovane, è stato l’atleta più forte del mondo fino a pochi mesi prima, i tempi lo consentono e lui ci vuole provare. Per fugare ogni dubbio sulle sue intenzioni e ripulire il suo nome dalla terribile macchia che ci pesa su sceglie il più ‘pulito’ degli allenatori italiani, quel Sandro Donati che nell’ambiente è conosciuto per la sua instancabile crociata contro il doping che, secondo le sue accuse, permea ormai tutto il sistema dello sport internazionale.
L’allenatore, dapprima riluttante, si fa convincere della sincerità dell’atleta redento, che dà anche la disponibilità a sottoporsi a controlli a sorpresa in qualsiasi giorno e fascia oraria, tanto è sicuro che le sostanze ormai non faranno più parte del suo percorso.
La preparazione di Schwazer in vista di Rio, vede l’atleta trasferirsi a Roma e allenarsi ogni giorno in pista, su strada e in palestra, con un team scelto dal nuovo allenatore. Un impegno che dà i suoi frutti e riporta Schwazer ai livelli atletici pre squalifica. Tanto che si qualifica molto facilmente per Rio vincendo con un tempo notevole a maggio la 50 km su strada di Roma, staccando tutti.
Passa un mese e mezzo e arriva la doccia fredda. Vengono comunicati all’atleta e al suo staff i risultati dell’analisi antidoping dei prelievi di urina effettuati la mattina di Capodanno 2016: in quei campioni è stato trovato testosterone.
Ma la storia non è affatto il bis della prima volta. Nessun pianto disperato, nessuna ammissione di colpa, nessuna vergogna. Al contrario, Schwazer grida a gran voce la sua innocenza.
La seconda accusa di doping e la tesi del complotto internazionale
Schwazer e Donati non si limitano a rivendicare l’innocenza del marciatore ma hanno il sospetto che, dietro questa nuova accusa di doping, a pochi mesi da quella che sarebbe dovuta essere l’Olimpiade del riscatto in un momento in cui l’atleta si trova in grande forma, si celi un avvertimento, o meglio, ‘una punizione’ per il marciatore e per il suo allenatore causata dalla sua inesausta crociata contro il doping.
La docuserie Il Caso Alex Schwazer di Netflix cerca di fare luce in particolare proprio su questo presunto complotto, che sarebbe stato ordito ai più alti vertici dell’atletica mondiale: la IAAF, la Federazione Mondiale di Atletica Leggera, che avrebbe agito di comune accordo con la WADA l’ente supremo preposto ai controlli antidoping sugli atleti di tutto il mondo.
Il motivo di questo ‘delitto perfetto’ ai danni dell’atleta italiano, secondo la tesi di Donati, sarebbe il suo impegno nel denunciare la piaga del doping e certe connivenze di sistema. A un certo punto si parla anche di un archivio di nomi di sportivi di tutto il mondo, saltato fuori dal pc di un eminente medico sportivo italiano nel corso della prima indagine a carico di Schwazer. I nomi sarebbero quelli di atleti di altissimo livello usi a doparsi, conosciuti dai vertici dell’atletica internazionale, che non agirebbero per non andare contro i loro interessi.
Per rimanere alla stretta cronaca di quanto accaduto ad Alex Schwazer, nel momento della seconda accusa per doping, non si possono non rilevare ombre e buchi sulla vicenda emersi durante l’indagine penale. A iniziare dalla data scelta per il prelievo: la mattina del 1 gennaio. Una data inusuale perché, per garantire la catena di custodia e sicurezza legata ai test, non sembra coerente procedere a un prelievo in un giorno in cui il laboratorio chiamato ad analizzare i campioni è chiuso. La conseguenza di questa scelta tempistica fu infatti che la catena di custodia della provette di Alex Schwazer non fu assicurata. Non solo. Perché altre stranezze accompagnarono le indagini sul caso Schwazer: dalla tenace resistenza del laboratorio di analisi tedesco incaricato dei test a inviare le provette con l’urina analizzata al tribunale italiano per la perizia, fino a quello che il perito del RIS di Parma, una volta ottenuti i campioni, trovò in una di quelle provette, e cioè il DNA, sì di Schwazer, ma in una quantità abnorme e improbabile.
Tutto questo è oggetto del inchiesta del Gip di Bolzano che finisce nel febbraio 2021 con l’assoluzione dell’atleta “per non aver commesso il fatto”.
Tutt’altro discorso per la giustizia sportiva che agisce, oltretutto, con delle tempistiche piuttosto sadiche. Il Tribunale di Arbitrato Sportivo lo fa infatti arrivare a Rio dove, a Olimpiade già iniziata e a pochi giorni dalla 50 km di marcia, emette il verdetto e condanna l’atleta, in quanto recidivo, a 8 anni di squalifica.
Il Caso Alex Schwazer: come è finito
Ma come è finito il caso Alex Schwazer? La conclusione di questo incredibile caso è altrettanto incredibile.
Nell’archiviare le accuse a carico dell’atleta nel 2021, il Gip di Bolzano aveva scritto infatti: “Esistono forti evidenze del fatto che nel tentativo di impedire l’accertamento del predetto reato siano stati commessi una serie di reati. (…)Lo scrivente ritiene accertato con alto grado di credibilità razionale che i campioni di urina prelevati ad Alex Schwazer il primo gennaio 2016 siano stati alterati allo scopo di farli risultare positivi e dunque di ottenere la squalifica e il discredito dell’atleta, come pure del suo allenatore Sandro Donati“.
Dunque le conclusioni sono state: l’atleta non si è dopato, le provette sono state manipolate da chi aveva interesse a screditarlo e ottenerne la squalifica. Ma chi esattamente?
Proprio per accertare se fossero stati commessi effettivamente una serie di reati, il gip aveva poi rimesso gli atti al pubblico ministero perché iniziasse un’indagine contro ignoti. Questa ulteriore indagine però, si è conclusa recentemente con un nulla di fatto. Pochi giorni fa infatti, il 26 marzo, la Procura ha archiviato l’indagine non avendo trovato nessun elemento di riscontro su quanto scritto dal Gip. Il caso Alex Schwazer è finito dunque, a livello penale, senza colpevoli.
Per la giustizia sportiva invece, nemmeno l’assoluzione del Tribunale di Bolzano nel 2021, che ha stabilito che l’atleta non si era dopato, è valsa la revisione della condanna per doping recidivo.