alessandra mortelliti famosa

Esce nelle sale cinematografice il 13,14,15 luglio l’esordio alla regia di Alessandra Mortelliti, ‘Famosa’, una favola moderna che parla di adolescenza, diversità, sogni e realtà. La nostra intervista

Esce oggi e sarà al cinema fino a mercoledì 15 luglio, come evento speciale, l’esordio alla regia di Alessandra Mortelliti, ‘Famosa’ con Jacopo Piroli, Adamo Dionisi, Gioia Spaziani, Matteo Paolillo e con Manuela Mandracchia.

Presentato nella scorsa edizione di Alice nella Città, ‘Famosa’ è la versione cinematografica dell’omonimo monologo teatrale scritto e interpretato dalla regista. Una storia di iniziazione adolescenziale, un teen-drama che riesce allo stesso tempo ad essere delicato, nel tratteggiare la figura del protagonista, Rocco Fiorella, e duro, nel raccontare lo scontro tra il suo puro idealismo e la dura realtà.

Alessandra Mortelliti, figlia e nipote d’arte respira la parola, il teatro, lo spettacolo da quando è nata. E lei stessa, ha da subito intrapreso la strada del teatro e della scrittura, sulle orme del nonno scrittore Andrea Camilleri, e del padre regista Rocco Mortelliti. Dopo anni di scrittura, di palcoscenico e di set da attrice, ora la ritroviamo dall’altra parte, a dirigere la sua storia per il grande schermo.

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Domanda d’obbligo, com’è andato questo esordio alla regia? Come ti sei trovata dietro la macchina da presa?

La mia lunga gavetta mi ha salvato la vita! Durante le mie esperienze teatrali mi sono ritrovata spesso a lavorare con pochi mezzi e a dover trovare in fretta soluzioni concrete a problemi relativi alle messinscena. Tutto questo bagaglio mi è tornato utile mentre giravo ‘Famosa’. Mi sono comunque trovata subito molto a mio agio, mi sono stupita io stessa, e in questo mi hanno aiutato sicuramente gli attori con cui è nata da subito una felice sintonia e una troupe di grandissima esperienza, fondamentale per la buona riuscita di un’opera prima.

Alessandra Mortelliti, ‘Famosa’ è la trasposizione cinematografica della tua opera teatrale, che differenze troveremo tra il film e il monologo?

La ‘Famosa’ che vedrete al cinema mantiene tutta l’essenza della ‘Famosa’ che per tanti anni ho portato in teatro, ma è una versione più ammorbidita. La ‘Famosa’ teatrale era un urlo, un grido di aiuto di un personaggio dai tratti fortemente borderline, un emarginato, in cui anche l’aspetto del’ambiguità sessuale era molto più esposto. Il film invece ha toni più intimi, molta parte della storia è raccontata dai silenzi di Rocco, il protagonista. Tutto quello che avviene è filtrato attraverso i suoi occhi, nel film ho giocato di più sull’ambiguità che si mischia alla purezza d’animo che è propria dei ragazzini.

Come nasce l’idea alla base di ‘Famosa’?

La storia di Famosa e di Rocco Fiorella nasce qualche anno fa, in quel momento storico che ha visto il boom dei talent show. Quel mondo di adolescenti pieni di sogni mi incuriosiva. Avevo visto dei provini di un talent, erano proposti in modo ironico e si prendeva in giro chi si presentava sopravvalutando le proprie capacità. Io lo trovavo un po’ crudele e ho iniziato a chiedermi che storie ci fossero dietro questi ragazzini, che percorso avessero dovuto affrontare per arrivare fino là. Così è nata la storia di Rocco, un ragazzo che si sente diverso, prigioniero del suo mondo e vede la tv come un mezzo per uscirne.

Il mondo che circonda Rocco è molto complesso e quasi sempre ostile, è il vero antagonista del film?

Certo, il suo mondo, è un elemento fondamentale, è di fatto coprotagonista del film, per esempio per sviluppare il tema della diversità. Rocco è un ragazzo diverso rispetto ai suoi coetanei e compaesani e spesso diventa un capro espiatorio per le loro frustrazioni, diventa vittima di bullismo. Ma Rocco, a differenza loro, sa benissimo quello che vuole, ha anche un grande sogno, quello della danza, che lo spingerà a superare molti ostacoli. Non vi aspettate però un ‘Billy Elliot’, al limite, ‘Famosa’ potrebbe essere considerata una sua versione ‘dark’, perché scava nella parte più buia di una vicenda che è trainata dalla voglia di riscatto del protagonista. Io definisco questo film una favola moderna, perché ha tutte le caratteristiche di una favola. Rocco è una sorta di Pinocchio, che nel suo percorso incontra tanti personaggi diversi, una Fata Turchina ma anche il Gatto e la Volpe e così, nel suo viaggio, il nostro giovane sognatore scoprirà che sulla strada del sogno ci sono molti rischi da affrontare, ma ne uscirà comunque vincente perché riuscirà a preservare la sua purezza d’animo, nonostante il durissimo scontro con la realtà.

L’attore che incarna Rocco, Jacopo Piroli, è un esordiente, come lo hai scelto?

Abbiamo cercato i ragazzi girando per i licei della Ciociaria, ma Jacopo, ovvero il protagonista Rocco Fiorella, è stato un vero e proprio colpo di fulmine. La prima volta che l’ho visto ero in travaglio per il mio secondo figlio e stavo per entrare in sala parto! Ero lì che armeggiavo con il cellulare per distrarmi quando mi arriva dai miei collaboratori il video di questo ragazzino ciociaro con i capelli biondo platino, e me ne sono subito innamorata, immediatamente ho pensato: lui è Rocco!

Com’è stato separarti da un personaggio che non solo hai creato, ma hai anche incarnato per anni sul palcoscenico?

Già in scrittura mi rendevo conto che il Rocco Fiorella cinematografico avrebbe avuto una vita a se stante rispetto a quello teatrale. Sapevo da subito che mi sarei dovuta staccare da lui, ma puntavo solo a mantenere intatta la sua essenza, quella di una creatura non capita che lotta per il suo sogno. Quando poi ho trovato Jacopo, affidargli Rocco è stato del tutto naturale: ho visto subito in lui una complessità, un’ironia, un’autoironia e anche un che di cervellotico che avevo anch’io alla sua età e che avevo voluto anche dare al mio protagonista.

Il film si chiude con una dedica a tuo nonno, ovvero lo scrittore Andrea Camilleri, come mai hai voluto inserire questo pensiero?

Il film è dedicato a mio nonno perché lui ha seguito e creduto in questo progetto sin dall’inizio, da quando gli parlai dell’idea del monologo. C’è anche il suo sguardo in ‘Famosa’, non potevo che dedicarglielo.

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